Alpi, addio al ghiaccio
Il lecchese Calvetti
studia lo stato delle rocce

Al centro del lavoro l’ammasso roccioso su cui poggia il rifugio più alto dl’Europa

Salgono le temperature sulle Alpi e a studiarle c’è anche un team lecchese del Polo territoriale del Politecnico di Milano. Il distaccamento di domenica scorsa dalla parete nord del Piz Scerscen (a 3.970 metri), nel massiccio del Bernina, in Svizzera, ha riportato sotto i riflettori la scomparsa del permafrost, con lo zero termico che sale oltre i 3.500 metri sul livello del mare, sulle vette alpine.

Il progetto

A studiare il fenomeno dell’aumento delle temperature ad alta quota è la scienza, anche lecchese. Il professor Francesco Calvetti, ingegnere e docente del dipartimento di dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano, nonché al campus di via Previati di Lecco, insieme ai suoi studenti e ai dottorandi, si sta occupando del monitoraggio del rifugio Margherita sul Monte Rosa, a oltre 4.500 metri. Si tratta del rifugio più alto d’Europa e dell’unico rifugio italiano di proprietà proprio del Cai nazionale e non delle sezioni del Club alpino italiano.

«Negli anni scorsi, le temperature sulle Alpi sono cresciute di molto – osserva Calvetti - Stiamo parlando di temperature che si aggirano circa attorno ai 10 gradi sopra lo zero. Non sono certo normali e hanno suscitato la preoccupazione in via precauzionale da parte del Cai».

Così, da circa quattro anni è partito lo studio dell’ammasso roccioso sul quale la Capanna Margherita poggia e che, nelle intenzioni dei ricercatori, costituisce solo il primo esempio di analisi delle rocce alpine, a quote elevate. «Al momento non è il caso di preoccuparsi, non ci sono infatti rischi per il rifugio Margherita, ma è importante poter studiare le diverse fasce di roccia per valutare lo stato del ghiaccio nei giunti attraverso anche un rilievo geomeccanico. L’obiettivo è quello di estendere le osservazioni anche a quote più basse».

È stata anche fatta, da parte del docente del Politecnico e del suo team, la proposta di un progetto Interreg volto proprio raccogliere misure anche meccaniche in altri siti sulle Alpi, a quote diverse. «Così facendo – spiega il professor Calvetti - si potrebbero cogliere segnali premonitori, in particolare per quanto riguarda caratteristiche termiche, relativi ad eventi franosi e a distaccamenti. Difficili da monitorare sono invece i bivacchi, edifici troppo piccoli e numerosi, per i quali fare ricerche sarebbe troppo complesso e costoso».

L’allarme

Frane e distaccamenti stanno aumentando: «In particolare, questo succede tra i 3.000 e i 3.500 metri, laddove il permafrost sta scomparendo – osserva Calvetti – Si tratta del terreno gelato. Così facendo, lo zero termico si innalza sempre più: ogni 150 metri, si ha un aumento di due gradi. Il che significa spostare di circa 300 metri il permafrost».

Con l’aumento della temperatura, si riduce la resistenza alla spinta dell’acqua che si scioglie, provocando le frane. «L’obiettivo è estendere questa ricerca, per poter comprendere meglio il fenomeno - chiosa Calvetti - Al momento, abbiamo fatto dei rilievi tridimensionali dall’esterno della roccia sotto la Capanna Margherita, per poi passare a delle misure in situ, con delle perforazioni fatte anche dal mandellese Tore Panzeri».

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