Si mette in stretta relazione la crisi economica con quella calcistica. Ben venga se servirà a calmierare i prezzi sia di acquisto che d'ingaggio dei calciatori. Questa crisi contribuirà a ridimensionare quell'immorale circolazione di denaro che non ha contribuito alla crescita del nostro movimento calcistico e che produce pochi giovani promettenti (non trovano spazio perchè spesso si preferisce strapagare gli stranieri).
Né ha contribuito all'ammodernamento delle società e degli stadi. Così non si può andare avanti, bene al fair play e bando a quei giocatori che intascano ingaggi da nababbi. La mia ammirazione va non certo a società che si fregiano di scudetti a questo prezzo ma a società virtuose.
Romano Valsecchi
In molti club è mancato lo spirito imprenditoriale. Uno solo ha lo stadio di proprietà: la Juve. E questo la dice lunga sulla vista corta del mondo pallonaro.
Il gotha della confindustria del calcio s'ispira spesso al mecenatismo: il tycoon di turno tira fuori sacchi di soldi per vincere, senza preoccuparsi di quanto perde l'avvenire societario. Poi ripiana con l'assegno annuale, ma gl'investimenti per il futuro restano a zero o poco più. Eppure esempi di grido non mancano: il Barcellona e il Manchester United, per citarne due.
Puntano su scuole giovanili, crescono i talenti in casa, li lanciano appena maggiorenni. Con ottimi risultati tecnici e altrettante valorizzazioni finanziarie. Bisognerebbe seguire il buon lavoro svolto in provincia. Anche nella provincia prealpina, qui da noi.
Meno vecchi carri armati in disarmo, più giovani assaltatori da sbarco. I ragazzi sono tosti, se ne sottovaluta la capacità di salire rapidamente ai livelli superiori del calcio.
Dovrebbero essere egualmente tosti gli allenatori, che invece talvolta privilegiano al risultato in prospettiva il risultato a breve. Comandano i presidenti, comandano a volte i tifosi: impongono il nome di grande fama, e pazienza se la star (specie quando stagionata) ricambia col piccolo cabotaggio.
Max Lodi
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