Test sierologici, ma non per tutti
Li dispone Ats o il medico curante

Hanno la funzione di realizzare uno studio epidemiologico nazionale

Sondrio

Test sierologici sì, ma solo su indicazione dell’Ats della Montagna o del proprio medico di medicina generale o pediatra di famiglia. Non è a tappeto e non è per tutti la partecipazione allo studio siero-epidemiologico nazionale voluto dal Ministero della Salute, cui aderisce Regione Lombardia.

Vi potranno prendere parte specifiche categorie di persone individuate dallo studio come destinatarie dello screening epidemiologico, studio volto a testare quanta parte della popolazione è entrata in contatto col virus, così da poter affrontare la fase 2 dell’era covid con il maggior grado di sicurezza possibile.

Attori principali sono Ats della Montagna e medici di medicina generale e pediatri di famiglia. Alla prima spetta proporre il test sierologico agli operatori sanitari che sono stati a più stretto contatto col contagio e a tutti i contatti dei casi positivi accertati con tampone, siano, questi ultimi, sintomatici o asintomatici. In pratica, Ats, contatterà tutte le persone indicate come contatti dei pazienti covid positivi, e che, fino ad ora, non sono stati sottoposti a tampone. Proporrà il test sierologico, che può essere effettuato su base volontaria. Ovvero, nessuno obbligherà, nè può obbligare, a sottoporsi a test tramite prelievo di sangue nei centri prelievi di Asst Valtellina e Alto Lario di Bormio, Chiavenna, Morbegno, Sondrio e Tirano e nei centri convenzionati individuati da Ats della Montagna.

«Ai medici di medicina generale e ai pediatri di famiglia, invece, - spiegaTiziana Panzera, medico di medicina generale a Tirano - spetta individuare, tutti quei soggetti paucisintomatici, cioè portatori di sintomi lievi o di solo uno-due sintomi riconducivili al covid che, proprio per questo, non sono stati testati con tampone. Che possono essere chiamati a sottoporsi al test solo se guariti entro gli ultimi quattordici giorni, diversamente, potrebbe non riscontrarsi la presenza degli anticorpi indicatori dell’infezione».

Ovvero l’IgM, che sta per immunoglobuline M, e l’IgG, che sta per immunoglobuline G, dove le prime si sviluppano nelle primissime fasi dell’infezione, mentre le seconde raggiungono il picco dopo due settimane dall’avvenuto contagio. Quindi, superato questo lasso temporale sarebbe del tutto inutile andare a somministrare un test sierologico.

«Inutile, a questo fine, - precisa, infatti, Tiziana Panzera - sottoporre a prelievo di screening un paziente presunto covid che abbiamo avuto in cura, ad esempio, a inizio marzo. Occorre che ci concentriamo, esclusivamente, su pazienti che abbiamo in cura, da due settimane a questa parte. Tenendo sempre presente che i risultati possono essere di tre tipi: negativo, dubbio o positivo. Se il risultato è negativo può significare o che l’infezione non c’è, oppure che è a uno stadio talmente iniziale che gli anticorpi non sono rilevabili ancora dal test. A questo punto il paziente conclude il proprio periodo di quarantena fiduciaria e rientra in comunità dopo 14 giorni dalla fine dei sintomi. Se il risultato, invece, è dubbio, il test viene ripetuto dopo una settimana. Se è positivo, il paziente viene sottoposto a tampone per la ricerca dell’Rna virale. Se l’esito del tampone è negativo, allora il paziente viene inserito in quarantena fiduciaria per 14 giorni dopodiché può rientrare liberamente in comunità, mentre se è positivo, va in quarantena obbligatoria e segue il percorso proprio di tutti i positivi. Per cui si procede con l’individuazione dei contatti e col monitoraggio stretto a casa, fino alla sottoposizione al doppio tampone di controllo che ne decreti la completa guarigione»

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