Ora il contrabbando è un’attrazione turistica. Ma quanta storia dietro

Convegno in Bps Viano era la roccaforte degli scambi. Lo storico Paganini ha ricostruito i flussi dei prodotti. In guerra la direzione dalla Svizzera all’Italia si invertì

«Da che mondo è mondo dove c’è un confine si pratica il contrabbando». Asserzione condivisa questa al convegno “Storie di confine durante la seconda guerra mondiale” che si è tenuto nella sala Besta della Banca Popolare di Sondrio, a Sondrio, all’interno del progetto “Novecento di contrabbando”, promosso dall’Istituto di storia contemporanea “P.A. Perretta” di Como con una serie di partner, anche locali.

Con la Valposchiavo

Avvincente la relazione di Andrea Paganini, storico e docente, che ha parlato di contrabbando qualitativo, quantitativo e politico fra il territorio valtellinese e la vicina Valposchiavo. La premessa è che, in un territorio come Valposchiavo e Valtellina, così legate dal punto di vista di commerci, amicizie e parentele, il contrabbando è nato «in maniera naturale», perché pareva appunto naturale che entrando e uscendo dalla Svizzera si portassero anche i prodotti. «La legge non sempre riteneva giusto, d’altro canto, ciò che per la gente lo era – ha affermato -. I due Stati hanno cercato di ostacolare il contrabbando con energie diverse e risultati modesti». Viano era la «roccaforte» del contrabbando ed una fittissima rete di sentieri attraversava il confine. Oggi il Sentiero del contrabbando fra Viano e Baruffini è divenuto un’attrazione turistica».

«Puntando la lente sul periodo della seconda guerra mondiale - ha aggiunto -, la Svizzera assistette ad una forte crisi di materie prime (soprattutto riso, ma anche farina, castagne, carni) e industriali. Di contro, in Italia, molti prodotti erano ancora reperibili. Quindi se il contrabbando prima andava dalla Svizzera all’Italia, dal ’43 al ’47 la direzione era capovolta: dall’Italia alla Svizzera. «La Svizzera, circondata dalle nazioni dell’Asse, aveva paura di essere occupata, per cui mandò un esercito alle frontiere – ha proseguito Paganini -. Rimaneva aperta la questione degli italiani che avevano baite e terre in territorio svizzero, i quali durante la guerra avevano diritto di entrare in Svizzera per amministrare le proprietà a determinate condizioni, legate alla durata e alla lunghezza dello spostamento. Questo spiega perché è fiorito bene il fenomeno in quel periodo».

Un lavoro da donne

«Ed erano le donne, visto che gli uomini erano al fronte o partigiani, a contrabbandare ha spiegato -. Passarono migliaia di tonnellate di riso che venivano portate dalla Pianura Padana in treno e, a spalla, in montagna in cambio di pochi franchi o sale. Non era rara la pratica del baratto». La piccola Viano aveva un vero e proprio mercato in cui si vendeva di tutto: alimentare, ma anche tessuti, tappeti, borse, copertoni delle biciclette, suole per le scarpe, vestiti e persino fisarmoniche. Entravano in Svizzera anche animali vivi, soprattutto dalla parte di Livigno. Arrivavano grossi commercianti da Zurigo per comprare la merce importata dalla Valtellina. Dalla Svizzera, invece, uscivano sigarette, cioccolata, saccarina, caffè e, soprattutto, sale che era la necessità più urgente.

Paganini ha parlato anche del contrabbando politico, poiché la Svizzera ha accolto tanti rifugiati e profughi dall’Italia durante la dittatura fascista e dopo l’armistizio. Trovarono rifugio 320 mila persone di cui 42mila italiani, ovvero soldati, civili, ebrei, intellettuali, prigionieri. Duecento persone provenivano dalla colonia di ebrei di Aprica.

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