Le chiese perdute dell’Europa laica

Sono più di seicento gli edifici religiosi sparsi tra la Valtellina e la Valchiavenna. Ma molti sono ridotti a ruderi e tanti altri sono stati demoliti. Alcuni sfuggono a qualsiasi tutela, perché lo Stato non li ha nemmeno censiti tutti

È stato calcolato che le chiese e gli oratori in Valtellina e Valchiavenna siano più di seicento. Nella maggior parte si tratta di edifici storici dall’epoca medievale all’età barocca, fino alla fine del Settecento. Del resto fino all’epoca napoleonica la religione cattolica era al primo posto nel cuore di tutta la popolazione e più volte, anche da parte di chi chiedeva riforme e cambiamenti, essa si riteneva dovesse essere “unica e dominante”.

Solo dopo quest’epoca inizia una progressiva divaricazione tra esperienza quotidiana e fede, dapprima in modo minoritario, poi rendendo il cattolicesimo una esperienza sempre più limitata e interiore, che incide sempre meno sulla storia e sulla realtà. Oggi l’Unione Europa, che pure ha radici profondamente cristiane, quasi non si riconosce più in esse e si presenta con un volto assolutamente laico, se non laicista.

Per decenni questa immagine di società è stata sbandierata come una soluzione positiva, una società liberale, capace di integrare tutte le culture in un “melting pot” (crogiuolo etnico) luminoso e progressivo, fondato solo sui principi della scienza, del capitalismo e della ricchezza. In questi ultimi anni questa luce è caratterizzata da inquietanti segni di tramonto che stanno facendo crollare questo castello ideologico e mostrano drammaticamente come globalizzazione e multiculturalismo siano in realtà dei miti occidentali fondati sulla mancanza di una chiara identità: fuori dall’Europa molti popolì hanno mantenuto una profonda religiosità (vedi l’Islam) e la coscienza della forza della famiglia per lo sviluppo del futuro della società civile.

Cambiamenti

La secolarizzazione ha già portato con sé anche la distruzione o la trasformazione di molte chiese e luoghi della religiosità cattolica, in certi casi senza che nessuno più neppure se ne ricordi. A parte, infatti, le chiese sconsacrate e trasformate in sale conferenze o in auditorium (perlomeno restaurate e rispettate, come l’ex convento domenicano di Sant’Antonio a Mobegno o la chiesa di San Rocco a Castione) molte altre strutture sono scomparse del tutto, abbandonate e infine demolite.

Solo a Sondrio città l’architettura religiosa di qualche secolo orsono era completamente differente e un abitante di oggi riconoscerebbe a stento il centro città del XVII secolo. In piazza Campello, dove sorge la chiesa arcipretale dei santi Gervasio e Protasio, di fronte alla facciata ad ovest, ve n’era un’altra, dedicata a Sant’Antonio e utilizzata anche come ospedale. Essa era stata fondata nel 1359 dalla famiglia Capitanei che ne conservò il patronato; successivamente passò ai Beccarla: la chiesa aveva funzione anche di ospedale. Sul fianco meridionale della chiesa arcipretale era posto l’Oratorio della confraternita del SS. Sacramento.

Demolizioni e ruderi

Più o meno ove è ora situato il campanile vi era, invece, l’antica chiesa dei santi Nabore e Felice, di patronato della famiglia Pusterla. Questa chiesa venne assegnata, dal governo delle Tre Leghe, ai protestanti del borgo nel 1582 e da essi fu ampliata sul terreno dell’arcipretura a spese di tutta la comunità di Sondrio.

A sud della piazza Campello, nel cosiddetto “Campelletto”, utilizzato dai protestanti come cimitero, venne edificata invece, a partire dal 1670 su iniziativa dell’arciprete Francesco Paravicini, la bella chiesa del Suffragio, per ospitare l’omonima confraternita. Dopo le confische della Repubblica Cisalpina (1797) venne trasformata in archivio notarile e poi demolita a seguito della costruzione della sede del Credito Valtellinese, nel 1940.

Anche la chiesa del Castel Masegra, dedicata a Sant’Agata e, posta sul lato orientale, fu demolita nel 1874, nonostante fosse, da quanto risulta da rare immagini fotografiche, ancora in buono stato e non vi è più traccia, se non l’antica scalinata che sale da Scarpatetti, del convento dei Cappuccini posto sopra la città, ove ora è il convitto nazionale e la sede dell’agenzia delle entrate.

Altri casi interessanti: a Castione, nel piano, fino agli anni ’50, erano ancora visibili i ruderi dell’antica chiesa di San Pancrazio, che era in “restauro” già ai tempi della vista pastorale del vescovo Ninguarda (1589). Al posto della chiesa, che forse fu costruita tra i campi coltivati sulle fondamenta di un antico tempio pre-cristiano, nei pressi di Andevenno, oggi c’è un anonimo distributore di gas metano, segno dei tempi che cambiano. A Poggiridenti oggi la chiesa del Buonconsiglio è un piccolo oratorio, ma in realtà è solo l’abside di una chiesa molto più grande. In quest’ultimo caso il tempio ebbe vita molto breve, anche se non fu completamente distrutto. Esso risulta, in base alle ricerche di Franca Prandi, da poco edificato nel 1777, probabilmente come oratorio privato della famiglia Conforto Galli. Dalle mappe catastali storiche degli inizi dell’Ottocento esso è rilevato a forma ottagonale, con abside meridionale (la parte salvatasi dalla distruzione).

Perché questa chiesa fu demolita? Con ogni probabilità ciò avvenne intorno al 1910. Nel 1902 i comuni valtellinesi poterono usufruire di notevoli finanziamenti statali (70% a fondo perduto) per realizzare strade di collegamento tra i municipi e le stazioni ferroviarie (la ferrovia arrivò nel 1895). L’antica mulattiera passava dalla frazione Zocca, ma per realizzare una strada carrabile verso il municipio di Pendolasco (come allora si chiamava il comune di Poggiridenti) il modo più semplice era eliminare la chiesa per realizzare un tornante e così fu fatto.

Altre chiese sono isolate e abbandonate a se stesse, già allo stato ruderale o quasi: è il caso della chiesa di Santa Cristina a Ponte in Valtellina, tra i frutteti, o della chiesa di San Vittore (di impianto medievale) i cui ruderi sconsacrati appaiono improvvisamente, tra i fitti boschi sopra Valbona a Piateda, oppure della chiesa di Sant’Anna a Cedrasco (l’ultimo restauro è del lontano 1970).

La normativa

Al contrario di quanto si possa pensare la maggior parte di questi edifici non è soggetto a vincolo specifico monumentale, ma solo generico, perché la lenta macchina dello Stato non è in grado di censire un patrimonio così importante e diffuso. Alle nostre comunità dunque, prima di tutto, resta la responsabilità di porsi un interrogativo sul futuro di questi beni che, anche se la fede si sta perdendo, restano una testimonianza importante della nostra storia.

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