Rogo della palazzina, si apre il processo

Nel 2019 Tre rinvii a giudizio per fare luce sull’incendio che distrusse le due mansarde all’ultimo piano

Dopo oltre tre anni e mezzo si aprirà a ottobre il processo per fare piena luce sullo spaventoso incendio che a gennaio del 2019 distrusse completamente le due mansarde all’ultimo piano della palazzina in via Brigata Orobica numero 47 a Sondrio.

Sono stati, infatti, rinviati a giudizio Roberto Bertolatti, 69enne di Albosaggia, amministratore del condominio e anche direttore dei lavori relativi alla realizzazione e all’esecuzione del progetto di variante al piano sottotetto; Adriano Fontana, 67 anni, e Tino Meraviglia, 65 anni, entrambi residenti a Berbenno di Valtellina, costruttori, installatori e manutentori di stufe in maiolica.

È stata loro, secondo l’accusa, la responsabilità di quello che è accaduto il 4 gennaio di tre anni fa: il rogo provocò danni molto ingenti, 19 le persone sfollate e una dei residenti nel sottotetto non è ancora tornata a casa e il tetto non è ancora stato ricostruito.

Una ventina i vigili del fuoco impegnati per ore per domare le fiamme in quello che può considerarsi uno dei più gravi incendi avvenuti in città negli ultimi anni. Gli imputati sono accusati di incendio colposo in cooperazione tra loro e con apporti causali convergenti. In particolare, stando al capo di imputazione, «per colpa, consistita in negligenza e imperizia, cagionarono l’incendio degli appartamenti costituenti l’intero quarto piano mansardato (sottotetto) del condominio “Ai Portici” in via Brigata Orobica 47».

Colpa consistita, per Adriano Fontana e Tino Meraviglia e sempre secondo la tesi del’accusa, «nell’aver realizzato il condotto fumi annesso alla stufa in maiolica (realizzata sempre da loro) presente nell’appartamento 9bis (quello della dottoressa Annamaria Beneggi, nda) in modo non conforme al principio dell’esecuzione dell’opera “a regola d’arte”».

Per Roberto Bertolatti, invece, la colpa contestata consiste «nell’aver omesso di controllare adeguatamente l’esecuzione “a regola d’arte” delle predette opere».

Secondo l’accusa sono due gli interventi che hanno contribuito a causare, tempo dopo, l’incendio. Nel 2005, infatti, in fase di realizzazione del condominio e prima della chiusura del tetto, venne costruita la stufa in maiolica senza, però, utilizzare le predisposizioni di scarico fumi lasciati dall’impresa costruttrice. Venne posato un condotto flessibile al posto di uno rigido in acciaio inox, che confluiva dove arrivavano anche altri condotti costituiti anche da materiale plastico combustibile.

Inoltre, si imputa ai due realizzatori di aver murato il tubo flessibile anche in corrispondenza del punto di giunzione con la stufa, giunzione che quindi non risultava a tenuta perfetta, «permettendo un trafilamento dei fumi - si legge nel capo di imputazione - con conseguente innalzamento delle temperature all’interno dell’intercapedine in muratura». E si è trattato di opere eseguite su indicazione e approvazione del direttore lavori, il geometra Roberto Bertolatti appunto.

Infine, nel mirino è finito anche l’intervento di manutenzione effettuato dal solo Fontana alla fine dell’estate del 2018: secondo l’accusa il 67enne di Berbenno, avendo rilevato le criticità nell’esecuzione dei lavori 13 anni prima, cercò di intervenire ma, di fatto, ostruì l’area di possibile sfogo dei fumi presenti nell’intercapedine. Quattro mesi dopo i trafilamenti dei fumi, con probabile presenza di lapilli, innescarono la combustione.

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