Milanesiana al via
Cristicchi emoziona

Al teatro Sociale Il saluto di Elisabetta Sgarbi: «Uno spettacolo che riporta alla fragilità dell’essere umano»

Un viaggio nelle emozioni, nell’amore, quello universale o impigliato nelle fragilità, dentro sé e attraverso la storia grande e degli emarginati, dei dimenticati. Un viaggio tra musica e parole accompagnati dall’estro istrionico e poetico di Simone Cristicchi.

La mostra al Mvsa

E’ stato lo spettacolo del cantautore, attore e pittore al Teatro Sociale, andato in scena un paio d’ore dopo l’apertura della mostra dello stesso artista al Mvsa, ad inaugurare sabato sera la XXIII edizione de La Milanesiana, il festival ideato e curato da Elisabetta Sgarbi che per la seconda volta consecutiva ha scelto Sondrio come prima tappa. Una scelta ripagata dal grande affetto e dalla partecipazione numerosa dei sondriesi che hanno riempito il teatro per un appuntamento che ha sorpreso per profondità, sensibilità e delicatezza.

Prima che Cristicchi e il suo trio di musicisti (Riccardo Ciaramellari, Riccardo Corso e Giuseppe Tortora) prendessero possesso del palco del Sociale per oltre un’ora e mezza di concerto, sono stati Elisabetta Sgarbi, il sindaco di Sondrio Marco Scaramellini e l’assessore alla Cultura Marcella Fratta a salutare la sala. «Siamo felici di poter ospitare nuovamente l’apertura della Milanesiana - ha detto Scaramellini -, evento importante e prestigioso». Di grande gioia, anche nel vedere tanta partecipazione, ha parlato l’assessore Fratta definita da Sgarbi «assessore colto e illuminato».

E’ toccato alla stessa Sgarbi introdurre lo spettacolo di Cristicchi dal titolo “Abbi cura di me”, «un tema - ha detto - che ci riporta alla fragilità dell’essere umano e al chiedere aiuto. Prendersi cura è il senso vero dell’amore». Non a caso sul finire del concerto l’“Abbi cura di me” di Cristicchi ha incontrato “La cura” di Franco Battiato, amico prezioso e indimenticabile di Sgarbi e della Milanesiana per la quale ha infatti disegnato la rosa che continua ad esserne simbolo (e che solo quest’anno ha assunto i colori giallo e blu dell’Ucraina).

Cristicchi, chitarra alla mano, davanti ad uno sfondo blu con gli amanti di Chagall in volo verso uno spicchio di luna orientale a prendere la scena con “Cerco una parola” e a cominciare a condurre il teatro intero in un viaggio nella meraviglia e nella bellezza del quotidiano che si intreccia con la storia, quella con la s maiuscola. E dunque la sonda Voyager lanciata in aria proprio nell’anno della sua nascita, il 1977, con una sorta di messaggio in bottiglia rivolto a chissà chi nell’oceano dello spazio, il racconto di nonno Rinaldo che ha fatto la guerra in Russia e che da quel 1941 aveva sempre freddo, anticipato dalla canzone “Le poche cose che contano” e seguito dalla poesia “Mio nonno è morto in guerra”.

Lo strazio per i profughi

E poi lo strazio per i profughi istriani e dalmati che abbandonata la loro terra, in fuga da Tito, sono stati abbandonati dall’Italia e nel “Magazzino 18” di Trieste hanno lasciato insieme a mobili, vestiti, targhe e insegne tanta parte delle loro vite. Tra chi fuggiva, a 14 anni Sergio Endrigo cui Cristicchi ha dedicato un’ampia parte intonando e lasciando cantare al pubblico le sue canzoni più note (“Ci vuole un fiore”, “La casa”) tra cui “Io che amo solo te”, «la più bella canzone d’amore mai scritta secondo Ennio Morricone» ha ricordato lui che di canzoni d’amore ne ha scritte poche e sempre di un sentimento speciale, nato per lo più nei luoghi della fragilità: “L’ultimo valzer” e “Ti regalerò una rosa”.

Struggente il ricordo di Maria Sole, bambina volata via a soli 9 anni, cui ha dedicato “La prima volta che sono morto”, piuttosto che “Abbi cura di me” che hanno strappato applausi e lacrime.

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