«Condannato perché uomo

Una sentenza già scritta»

Domenico Spellecchia, ginecologo, dopo la condanna in Appello per abusi sessuali su 18 pazienti.

Condannato a sei anni di reclusione per violenza sessuale, abusi nei confronti di 18 sue pazienti, anche se a costituirsi parte civile sono state “solo” 5 donne.

Il giorno dopo la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Milano, prima sezione penale, che di fatto ha ribaltato la decisione presa dal Tribunale di Sondrio - che in primo grado lo aveva assolto con formula piena perché il fatto non sussiste - a parlare è Domenico Spellecchia, 61enne ex primario di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Chiavenna.

«Mi sento tramortito, mi sento a pezzi, sono arrabbiato, mi sento male per me e per la mia famiglia, per le mie pazienti. Considero questa sentenza una profonda ingiustizia nei miei confronti. Non è possibile che un giudice, anzi tre giudici, emettano una sentenza che io definisco “di genere”. Sono stato condannato in quanto uomo, una sentenza che, io credo, era già scritta dall’inizio, le tre giudici avevano già deciso sin dalla prima udienza».

Sono dichiarazioni molto forti, come mai pensa di essere vittima di un’ingiustizia?

«Mi spiego subito. Il processo di primo grado a Sondrio è durato tre anni, sono state interrogate tutte le persone a vario titolo coinvolte, sono state lette tutte le carte, visionati in aula i filmati che, secondo l’accusa, mi incriminerebbero, e al termine del procedimento sono stato assolto con formula piena. A Milano i giudici hanno deciso, ribaltando la sentenza, in pratica dopo due udienze, senza sentire testi se non alcune delle parti civili, senza leggere le carte o visionare i video. In due udienze effettive hanno demolito tutto. È una sentenza offensiva, il Pubblico ministero, la dottoressa Daniela Meliota, è riuscita a realizzare l’intento del magistrato che portò avanti l’accusa a Sondrio, la dottoressa Luisa Russo. Quasi un complotto, una persecuzione, oserei dire, mi rendo conto che sono parole forti, forse anche dettate dall’arrabbiatura, ma questa è proprio la sensazione che ho avuto sin dal primo momento che ho messo il piede in aula a Milano. Ho capito subito. Impossibile difendersi».

Intende dire che ora vuole arrendersi?

Assolutamente no, non potrei mai arrendermi, anche e soprattutto per la mia famiglia. Io di certo non mi vergogno, non ho niente di cui vergognarmi, il prezzo più alto lo pagano mia moglie e i miei figli e per loro devo combattere fino in fondo questa difficile battaglia, anche se sinceramente ho perso la fiducia nella giustizia. Ovviamente presenteremo ricorso contro la condanna, i miei legali, gli avvocati Guglielmo Gulotta e Lino Terranova, se possibile erano ancor più arrabbiati di me. Ora attendiamo che vengano depositate le motivazioni, ci vorranno novanta giorni, per capire come agire. Gli spunti per un ricorso in Cassazione ci sono tutti, siamo convinti anche che l’appello presentato dall’accusa non fosse da accogliere per come era strutturato.

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