Società e Costume
Sabato 12 Giugno 2010
Un test di dialetto
per i vigili urbani
E' polemica dopo la decisione di un comune padovano di inserire tra i requisiti di un concorso anche la conoscenza della "parlata locale". Il governatore Zaia d'accordo, contrario un noto linguista che cita il caso di Como: "Se chiami in municipio ti rispondono in dialetto..."
Apriti cielo. Sul comune in provincia di Padova sono piovute critiche. "Il requisito - si difende il sindaco Daniele Donà - è solo un elemento in più che serve a individuare la persona più adatta a svolgere un lavoro in continuo contatto con persone che usano il dialetto per ogni attività quotidiana. Pensiamo agli anziani: per loro la prima lingua non è l'italiano ma il dialetto".
D'accordo con il sindaco anche il governatore veneto Luca Zaia: "Non capisco quale sia il problema. La proposta esprime semplicemente un'esigenza territoriale, legata al profondo radicamento della comunità nella propria lingua materna. Non significa certo che i vigili siano obbligati a parlare in dialetto, ma che dimostrino la capacità di comunicare e di comprendere il popolo, costituito anche da gente anziana, per il quale si presuppone debbano svolgere un pubblico servizio". Anche il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo non ha dubbi: "Credo che l'amministrazione di Battaglia abbia visto giusto".
Sarà. Per Gian Luigi Beccaria, linguista e professore emerito di Storia della Lingua italiana, questa storia del dialetto è invece una grande sciocchezza. "Tra l'altro, prima bisognerebbe definire di quale dialetto stanno parlando visto che il veneto, come il lombardo o il piemontese, non esistono. Sono agglomerati di dialetti al loro interno".
Lo storico cita anche, in negativo, il caso di Como: "Se uno telefona al Comune di Como si sente rispondere una voce che spiega di schiacciare il tasto 1 per ascoltare le informazioni in italiano, 2 per l'inglese, 3 per il dialetto".
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