Vajont: Piero Ruzzante presenta in Consiglio regionale “L’acqua non ha memoria”

(Arv) Venezia 12 dic. 2023  - “ I saveva che vegneva ‘sta sciagura, i prevedeva nel mese di novembre, ma a novembe i gera za tutti sottto terra…. Le case podeva pure prendersele pure, ma la xente! Salvare le anime, perché le anime xe importanti, no la diga (…) a noialtri no conta i miliardi, ma conta la vita ”. Si apre con questa testimonianza il romanzo-inchiesta di Piero Ruzzante e Antonio Martini “L’acqua non ha memoria. Storia salvata dal disastro del Vajont”, pubblicato da Utet nel settembre scorso, a ridosso del 60° anniversario del disastro del Vajont. Era il 9 ottobre 1963, quando una enorme frana si staccò dal fiume Toc e precipitò nel bacino del Vajont, causando un’onda alta 250 metri che scavalcò la diga più alta d’Europa e spazzò via, con la potenza di una bomba atomica, Erto, Casso, Longarone e le sue frazioni. Si contarono 1910 vittime, di cui 486 bambini, il più piccolo aveva appena 21 giorni. 181 corpi non sono mai stati ritrovati. “Non fu un disastro naturale, ma una tragedia annunciata. Tre anni prima i proprietari e i tecnici della Sade sapevano già tutto e non hanno fatto nulla per mettere in sicurezza il ‘popolo’ del Vajont – spiega  Piero Ruzzante,  parlamentare dell’Ulivo per due legislature e consigliere regionale dal 2010 al 2020, che ha presentato il suo libro nella sala stampa del Consiglio regionale del Veneto, su invito dell’Ufficio di Presidenza, in memoria dei 60 anni del disastro. “L’acqua non conserva memoria degli oggetti e delle persone, è l’uomo che deve averla. Da qui il titolo che ho scelto per un libro che si legge come un romanzo ma è invece frutto di una rigorosa ricerca storica sulle carte del Vajont (salvate fortunosamente dal terremoto dell’Aquila del 2006 ed entrate nell’archivio ‘Memoria del mondo’ tutelato dall’Unesco), negli archivi degli avvocati della Sade e delle parti civili e tra le mille testimonianze raccolte tra gli abitanti del Vaiont, i dipendenti della diga, i testimoni di allora. Ho voluto, infatti, mettere al centro loro, le vittime, le persone del Vajont fotografate nella sua quotidianità nella settimana prima del 9 ottobre ’63 e poi nella lunga vicenda processuale che si concluse nel 1971, con due sole condanne. ‘Fu un genocidio di popolo’ ebbe a dichiarare l’avvocato di parte civile, Sandro Canestrini di Rovereto”.

 

“La vicenda degli esiti processuali Vajont – ha commentato il presidente del Consiglio  Roberto Ciambetti  - rimanda per analogia al caso drammatico del cedimento strutturale della diga del Gleno, nelle valli Orobie, avvenuto quarant’anni prima e che ha causato 356 morti accertati. Quella diga era stata costruita con imperizia, in modo superficiale. Certi meccanismi del potere sembrano perfettamente non sovrapponibili. Il monito che ricaviamo da queste vicende è fare appello all’etica della responsabilità e invitare i cittadini a non smettere mai di indignarsi: la democrazia rischia di essere travolta se lo Stato non garantisce la giustizia”. “La vicenda del Vajont è scolpita nella memoria collettiva, specie dopo l’orazione civile di Marco Paolini del 1997 – ha aggiunto  Erika Baldin , componente dell’Ufficio di presidenza del Consiglio – Ma Piero Ruzzante vi aggiunge ricerca svolta con metodo scientifico e approfondisce la verità giudiziaria di disastro prevedibile. Abitiamo un territorio soggetto al rischio idrogeologico, spesso tendiamo a dimenticarlo, succede anche oggi con i nuovi timori di rischio che si affacciano di fronte al rischio di trivellazioni in Alto Adriatico. Dobbiamo imparare da queste tragedie e non incorrere negli stessi errori: se la natura viene gestita male provoca disastri immani”.

 

La convinzione che percorre le oltre 300 pagine de “L’acqua non ha memoria” – riassume l’autore – è che tre anni prima la Sade e i suoi consulenti sapevano esattamente tutto: il 4 novembre 1960 c’era stata una frana premonitrice che aveva allertato i vertici e i tecnici Sade e gli studiosi dell’Università di Padova. Ma lo studio svolto del professor Augusto Ghetti, docente di idrodinamica, fu tenuto segreto. È stato reso noto dal tecnico Lorenzo Rizzato, dopo il 9 ottobre. Ma Rizzato fu incarcerato perché ne trasmise copia all’on. Franco Busetto, che presentò interrogazione parlamentare al governo. La ’prova regine’ del racconto di Ruzzante proviene dai faldoni dello studio dell’avvocato Alessandro Brass (padre del regista Tinto Brass e figlio del pittore Italico Brass) che aveva assunto le difese dell’ing. Nino Biadene della Sade, il massimo responsabile della costruzione della diga. Da quelle carte, conservate all’Ateneo Veneto, emerge con nettezza la prevedibilità del rischio, l’incauta sospensione del principio di precauzione e la manipolazione da parte delle istituzioni economiche finanziarie private dell’istituzione pubblica Stato e della scienza.

”La vera storia del Vajont – tira le somme l’autore - ci dice che non è stata colpa della ‘natura matrigna’, ma è frutto della sete di profitto e di una scienza asservita ai poteri forti”.

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