“È dalla pelle che entra il mondo”, il mosaico dell’esistenza catturata nelle immagini

 

“È dalla pelle che entra il mondo” è un’opera composta di immagini vivide che rivelano una moltitudine di racconti affascinanti, scritti da Bruno Longo con raffinatezza e ordinati con criterio: cominciando dalle “Fotografie di chi sai e chi non sai”, la prima delle quattro parti in cui è divisa la raccolta, e proseguendo poi con “Nelle terre del Presidente”, “Riavvolgimento” e “Ai confini”, è possibile notare come le fotografie non soltanto siano l’elemento attorno a cui gravita ogni episodio raccontato, ma di come queste cambino ruolo e significato attraverso le varie sezioni dell’opera. Diverse immagini in diversi contesti, che ritraggono il padre ormai scomparso, i parenti che hai lasciato prima di partire per un nuovo Paese, il figlio da bambino; veicoli di ricordi densi di emozioni mai sopite del tutto e catturate in quelle foto per essere rievocate a piacimento. Bruno Longo però non si dedica soltanto alle fotografie da incorniciare nei suoi racconti, ma punta il suo sguardo anche su quelle scattate ai condannati, sulle foto affisse ai muri che ritraggono persone scomparse e sulle immagini che testimoniano violenza, anziché allegria. La voce dell’autore si adatta perfettamente alle diverse situazioni descritte senza mai stonare, calandosi nelle vesti del carcerato, del ragazzo, della giovane madre, dimostrando un’elasticità stilistica notevole che stimola alla lettura dei racconti sempre diversi, ma collegati solidamente tra loro dal fil rouge degli scatti su cui si posa lo sguardo di Bruno Longo, in modo mai scontato: la fotografia non è sempre l’elemento centrale della narrazione, a volte viene citata soltanto alla fine del racconto o appena accennata durante il suo svolgimento, ma contiene sempre un profondo significato per chi la guarda, un mondo di ricordi, pensieri, a volte rimorsi , o speranze , o anche denunce , ricatti , conforto. Nel susseguirsi di ogni racconto la penna di Bruno Longo sembra voler spingere sempre più a fondo la sua indagine nel significato delle immagini, senza risparmiare niente né a sé ne ai suoi lettori: “È dalla pelle che entra il mondo” racconta le immagini vividamente reali di vite diverse, un flusso eterogeneo di storie dense di significati.

Sono racconti eleganti nella stesura e intensi nel contenuto : racchiudono concetti e riflessioni preziose perché frutto della particolare esperienza dell’autore, accumulata nei periodi di lavoro come docente e operatore culturale trascorsi in Somalia e in Australia, nei sette anni vissuti a Riad e quattordici, talvolta drammatici, in Turchia, di cui ha cercato di raccontarne le complessità attraverso la sua precedente opera: “Sillabario Turco”.

Oggi trascorre parte del suo tempo a Istanbul e parte a Trieste e si affida a Europa Edizioni per la pubblicazione di “È dalla pelle che entra il mondo”, curioso già dal suo titolo che sembra voler far capire la sua intenzione di scavare sotto la superficie di ciò che mostra per rivelarne la profondità sottostante, con l’implicita promessa di penetrare sotto la pelle del lettore per comunicare direttamente allo spirito, una promessa che, senza dubbio, riesce a mantenere.

Gli argomenti che esplora e rivela con voce limpida e scrupolosa sono molteplici, ognuno porta il suo significato, la sua completezza auto-conclusiva e la sua tonalità di colore, sia brillante od opaco, caldo o freddo, ogni singolo racconto è un tassello che va a comporre un mosaico di storie uniche e stimolanti, che spingono a una lettura sempre vorace del racconto successivo, mai sazia fin quando non si raggiunge la conclusione.

“La prima cosa che vedo sono le dita a V. Maschili, magre, enormi, posizionate proprio di fronte all’obbiettivo”, si legge nel racconto intitolato “Le dita a V”, dove Bruno Longo prende in analisi la fotografia di un detenuto in sciopero della fame. “Dietro le dita innalzate in un segnale che è diventato ancora meno comprensibile, vedo un corpo disteso su di un letto, un corpo lungo che si indovina minuto, smaterializzato ed un viso dello stesso colore delle lenzuola, a parte il cerchio scuro attorno agli occhi. La pelle del viso non ha la minima ruga, è tirata sugli zigomi sporgenti al massimo della capacità di resistenza. Pesava trenta chili all’ora della morte e questo spiega la tensione”. L’occhio vigile e perennemente attento dell’autore si traduce nei suoi racconti particolareggiandoli di dettagli suggestivi e immagini capaci di prendere immediatamente cruda forma di fronte ai suoi lettori: “Una netta striscia nera attraversa la faccia a metà. Sono i baffi, folti, tagliati molto corti, con cura: una dichiarazione d’orgoglio certamente, un segno di identità trascinato dalla vita di prima anche dentro la susseguente battaglia, che avrebbe dovuto rinunciare all’inessenziale, se era una battaglia fin dall’inizio pensata fino alle conseguenze estreme. O è successo invece che la battaglia ha oltrepassato una soglia e di fronte ad un avversario più duro, feroce e resistente del previsto, anche il contendente si è indurito, è diventato cocciuto e ha smesso di sperare, senza però farsi travolgere dall’inumanità del contendere?”

Bruno Longo dimostra grande capacità di immedesimazione e di analisi nei suoi racconti che variano non soltanto per argomenti e significati, ma anche nella forma: seppure siano tutti racconti brevi, alcuni trovano la loro completezza in appena due o tre pagine, altri, dal respiro più calmo e disteso, prendono più spazio per esaurire la propria narrazione, ma questo non influisce su quello che sembra essere l’intento dell’autore dietro i suoi racconti, ossia quello di coglierne e comunicarne l’essenza , offrendola ai propri lettori tradotta in parole adatte ed efficaci, sempre capaci di trasmettere un messaggio che non è una morale, ma una riflessione , come l’arbitrarietà di ciò che si può leggere negli occhi di un uomo che sta per morire. Ci si sente un poco come ladri, afferma Bruno Longo nel sopracitato racconto, ma non possiamo resistere alla tentazione: “È dalla pelle che entra il mondo” è la risposta dell’autore a quell’innegabile volontà umana di voler scoprire e capire ciò che si cela dietro ciò che si vede, una curiosità persino morbosa, irrinunciabile, che permea la sua opera influenzandone la lettura, contagiando con il suo interesse e risvegliandolo in chi vi entri a contatto. È un’esperienza coinvolgente che, soltanto nella sua conclusione, riesce a saziare pienamente la curiosità che stimola grazie non soltanto alla quantità degli episodi raccontati, ma alla qualità della loro stesura che rendo ogni singolo racconto piacevole e interessante. È un’opera da cui si possono trarre preziosi insegnamenti seppur non pretenda di spiegare nient’altro che ciò che mostra: senza abrogarsi il diritto di essere portatore di un messaggio univoco e valido per tutti, l’autore offre i suoi pensieri a chi voglia coglierli, maturati nel corso della sua esperienza ed elaborati da una scrittura ponderata, sensibile e acuta che si riflette con grande forza evocativa nei suoi racconti.

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