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Domenica 10 Settembre 2023
Memoria e ferite: il golpe cileno in dieci film
Cinquant’anni fa la presa del potere da parte di Pinochet. Un dramma che lascia ancora strascichi, anche nel cinema. Tra gli esiti migliori la trilogia di documentari di Guzmán e “Machuca” di Wood. Lo sguardo di Larraín il più originale

«Oggi ho visto “La battaglia del Cile”, il documentario di Patricio Guzmán. Ne conoscevo solo qualche frammento [...], che avevano proiettato qualche volta a scuola, ormai in democrazia. Ricordo che il presidente del Centro studentesco commentava le scene e ogni tanto fermava la pellicola per dirci che vedere quelle immagini era più importante che imparare le tabelline». La memoria è un bisogno imprescindibile per chi ha sofferto sotto le dittature, e per evitare che si ripetano, ma non è facile arrivare a una visione condivisa quando ci si ritrova in classe con «figli di persone assassinate, torturate, scomparse» e «anche figli di carnefici», mentre il professore, cugino di un “desaparecido”, ti guarda con disprezzo se gli rispondi di essere figlio di genitori che «si erano mantenuti ai margini». Tutte cose che capitano ad Alejandro Zambra nel romanzo autobiografico “Modi di tornare a casa” (Mondadori, 2013).
Dal suo libro riprendiamo anche l’idea del cinema per “fare memoria”. Un’idea non nuova, ma in questo caso più che mai valida, perché raramente un regista cileno nell’ultimo mezzo secolo ha potuto prescindere dal fare i conti con il golpe militare avvenuto l’11 settembre 1973. E ancora oggi, 35 anni dopo il plebiscito indetto da Pinochet il 5 ottobre 1988, con il popolo che rispose “no” ad altri otto anni di regime sotto la sua presidenza, la transizione cominciata allora non sembra essersi ancora conclusa felicemente. Lo dimostra il più recente plebiscito, quello del 4 settembre 2022, in cui lo stesso popolo che l’aveva sollecitata, ha detto “no” anche alla nuova Costituzione del governo «più progressista del mondo», quello di Daniel Boric.
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