La mummia di Lenin, che nessuno scalza

A cento anni dalla morte il suo mausoleo a Mosca resiste a qualsiasi cambiamento epocale. Putin gli preferisce Stalin, ma il terrore rosso lo inventò lui. Il successore lo ha solo estremizzato

Nei quasi settant’anni trascorsi tra la sua morte, avvenuta un secolo fa il 21 gennaio 1924, e il collasso della sua creatura - l’Unione Sovietica - nel dicembre 1991, Vladimir Ilyich Ulyanov aveva continuato a essere presente, nell’inquietante forma di una mummia, all’interno dell’imponente mausoleo a lui dedicato sulla Piazza Rossa a Mosca. Il regime che aveva fondato con la rivoluzione d’Ottobre del 1917 lo aveva già deificato in vita, disseminando l’intero immenso Paese con le sue statue sul cui piedistallo sta scritto il nome di battaglia con cui aveva scelto di farsi conoscere: Lenin (uno pseudonimo che, a differenza di quello di Stalin, non richiama la durezza dell’acciaio ma, più banalmente, il fiume Lena lungo il quale aveva trascorso un periodo di esilio in epoca zarista).

La malattia fatale

All’inizio degli anni Venti del secolo scorso, il fondatore dell’Urss credeva di avere davanti a sé ancora molto tempo per consolidare la sua opera, ma il destino volle diversamente: quando morì, Lenin aveva appena 53 anni, anche se il suo aspetto di uomo precocemente invecchiato ingannava. A ucciderlo così presto fu una degenerazione dei vasi sanguigni del cervello, incurabile nonostante a partire dal 1922 - quando fu colpito dal primo dei suoi tre ictus - i migliori specialisti dell’epoca fossero stati convocati a Mosca per salvargli la vita. L’autopsia mostrò che quei vasi alla fine si erano così ristretti da non consentirvi neppure il passaggio di un capello e calcificati al punto da risuonare metallicamente se toccati con uno strumento in acciaio. Inoltre, il suo cervello conservato sotto alcol all’Istituto Lenin mostrava che un emisfero era normale, mentre l’altro era a tal punto rinsecchito dalla mancata irrorazione sanguigna da somigliare a una noce.

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