La marcia su Roma? «Fu l’origine dei fascismi»

Commento A cento anni dalla presa del potere di Mussolini una delle analisi più lucide resta quella “a caldo” dello storico Angelo Tasca, espulso dal Pci nel ’29. Riedito da Neri Pozza, ve ne offriamo uno stralcio

La sera del 28, Mussolini si rende conto che la prima parte del piano fascista è riuscita quasi senza incontrare difficoltà, e che l’abolizione dello stato d’assedio gli consegna Roma e il potere. A Roma l’idea di una combinazione Salandra-Mussolini prevale ancora, poiché alcuni capi fascisti, come De Vecchi e Ciano, il re, gli alti ufficiali dell’esercito, i nazionalisti sono favorevoli. Ma Mussolini, che avrebbe probabilmente accettato questa soluzione qualche giorno prima, e che vi si sarebbe rassegnato in caso di fallimento della mobilitazione fascista, non vede ora perché dovrebbe rinunciare a sfruttare fino in fondo per i suoi scopi la vittoria che ha riportato.

All’inizio del movimento, ha scritto a D’Annunzio proponendogli la instaurazione di una dittatura a tre: Mussolini, D’Annunzio e il duca d’Aosta. D’Annunzio rifiuta. Ma la sera stessa del 28, verso le dieci, Mussolini è già in grado di spedire a Gardone questo nuovo messaggio: «Mio caro Comandante, le ultime notizie consacrano il nostro trionfo. L’Italia di domani avrà un governo. Saremo abbastanza discreti e intelligenti per non abusare della vittoria. Sono sicuro che voi la saluterete come la migliore consacrazione della rinata giovinezza italiana. A voi! per voi!». Gli emissari che hanno portato questo messaggio a D’Annunzio gli spiegano che il re ha rifiutato di firmare il decreto dello stato d’assedio, e «che affiderà certamente a Mussolini il compito di formare il nuovo governo». [...]

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