L’italia torni leader nel Mediterraneo

Nel nuovo ordine mondiale multipolare il nostro Paese rafforzi la vocazione marittima Dall’Africa arriveranno forniture di gas e opportunità economiche per le imprese

Non è a causa della guerra russo-ucraina - o russo-atlantica, per il pericolo di escalation sempre più concreto dopo la parziale mobilitazione decisa dal Cremlino - che l’assetto geopolitico unipolare a guida statunitense ha cessato di esistere: il processo era in corso già dal principio degli anni 2000, e spinte verso il multipolarismo, con l’ascesa di Cina, India e altre potenze orientali, si sono proposte con prepotenza già dopo il termine della Guerra Fredda, quantomeno nelle loro premesse. Tuttavia, è proprio con il ritorno della guerra in Europa orientale che la “Pax Americana” sta conoscendo la propria (definitiva?) fine, con conseguenze significative per un ordine globale già severamente messo alla prova da crisi finanziarie continue, pandemie ed effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico.

Lo scenario verso il quale ci stiamo muovendo, e che questa guerra sta consacrando, sembrerebbe una riedizione del bipolarismo novecentesco in salsa contemporanea: un contesto “West versus Rest”, dove il “Rest” è guidato da Cina e Russia, mentre una schiera di nuovi Paesi non allineati resta alla finestra pronta a sfruttare le circostanze del momento a proprio vantaggio. L’Occidente, che insistiamo nel definire in crisi e frammentato, ma che in realtà è ora più compatto che mai, resta inequivocabilmente a guida statunitense, con l’Unione europea consapevole di poter giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale.

Sco contro Nato

Il ventiduesimo vertice annuale della Shanghai Cooperation Organization (Sco), tenutosi a metà settembre a Samarcanda, ha fotografato con chiarezza lo scacchiere in divenire: se tensioni e attriti persistono tra i suoi associati (come, ad esempio, il dossier del Kashmir tra India e Pakistan, o la rivalità sino-russa in Asia Centrale), è pur sempre vero che la Sco, nata per contrastare gli estremismi, rappresenta un quarto del Pil globale e circa metà della popolazione mondiale. Il suo peso, di conseguenza, non potrà che crescere.

La crisi dell’Onu

La Sco fa tuttavia parte di un lungo elenco di alleanze regionali, di carattere economico, politico o militare - come nel caso della Nato - che stanno contribuendo alla polverizzazione di quel disegno di ordine mondiale post-bellico imperniato sull’Organizzazione delle Nazioni Unite e tendente alla sopranazionalità. Il Consiglio di Sicurezza non ha mai veramente affrontato il tema della sottorappresentazione dei Paesi in via di sviluppo, presto demograficamente irraggiungibili, rimanendo ancorato ad una fotografia novecentesca.

D’altro canto, se l’efficacia delle svariate agenzie Onu rimane discutibile, l’Assemblea Generale rischia di essere sempre meno utilizzata come strumento di dialogo volto a trovare soluzioni negoziali alle numerose crisi emergenti, lasciando l’iniziativa nelle mani di leader regionali che, ponendosi da mediatori, accrescono notevolmente il peso del proprio Paese. Il caso dell’accordo sul grano, facilitato da Erdogan con il placet di Guterres, è emblematico. Eppure, di piattaforme di dialogo multilaterali come l’Assemblea onusiana ci sarebbe più bisogno che mai.

Non potendo gli Stati Uniti assolvere, come in passato, al ruolo di unico poliziotto, e non avendo l’Onu sufficiente autorità per garantire un multilateralismo equilibrato, nemmeno dal punto di vista commerciale, quale scenario alternativo al bipolarismo West vs Rest potrebbe dunque profilarsi? Le incognite restano molte, e laddove è, ancora una volta, una guerra europea a stravolgere il mondo, l’Italia deve attrezzarsi per poterle affrontare e trovare il modo di acquisire maggiore influenza. Come? In una parola: mare.

Innanzitutto, per motivi geografici. Causa il progressivo congelamento di un fronte orientale che non è stato colpevolmente stabilizzato dopo il 1991, il bacino del Mediterraneo allargato riacquisterà centralità per la geopolitica italiana, crescentemente imperniata sull’elemento marittimo e legata a regioni di grande importanza come i Balcani, il Nord Africa, il Sahel, il Vicino Oriente e il Caucaso. Da queste regioni, e proprio attraverso il mare, transiteranno sempre più le forniture energetiche diversificate di cui il Paese avrà bisogno per accompagnare la transizione alle fonti rinnovabili da qui al 2050, anno target per il raggiungimento della neutralità climatica. Non solo attraverso la celeberrima Tap o la già operativa Trans Tunisian Pipeline, ma anche puntando su forniture di Lng e sulla costruzione di infrastrutture adeguate allo scopo.

Sempre da queste regioni, e in particolare dall’Africa Sub-Sahariana, proverrà una pressione demografica crescente, che è storicamente fonte di tensioni socioeconomiche in società conservatrici come quella italiana: ad oggi, il continente africano ospita 1 miliardo e 400 milioni di persone (circa il 17% del totale, con una media di 19,7 anni), mentre nel 2050 rappresenterà, con i suoi 2,5 miliardi di abitanti, più di un quarto della quota mondiale. Impensabile non affrontare la questione ora, a maggior ragione sapendo che il tutto sarà aggravato dall’inarrestabile spirale di denatalità in cui ci siamo avvolti. Infine, sarà ancora dall’Africa che, forti di una popolazione giovane e dinamica, proverranno interessanti opportunità di investimento e penetrazione commerciale per le aziende italiane, che già ora guardano con attenzione al di là del Mediterraneo: è naturale che contribuire alla messa in sicurezza dei contesti più instabili sarà, a tal proposito, cruciale.

Sia chiaro: abbiamo visto, in questi mesi, che l’arena politica internazionale è divenuta drammaticamente realista e popolata da attori cinici e aggressivi, pronti a tutto, soprattutto se grandi, per difendere i propri interessi nazionali e proiettare sfere di influenza sul vicinato, approfittando della debolezza di organizzazioni create per un mondo che non esiste più. Acquisire peso significa adattarsi al contesto, relegando in soffitta la tesi della fine della storia e interpretando le continue evoluzioni: un Paese deve evolvere con esso, per non rimanere indietro. Non sarà facile per l’Italia, anziana, improduttiva da oltre un ventennio, geopoliticamente timida e immersa in una dimensione post-storica che mal tollera la scomoda realtà scandita da conflitti e crisi di ogni genere.

Demografia, gestione dei flussi migratori e rilancio della produttività per sostenere la crescita - anche in un Mezzogiorno a naturale vocazione marittima - sono i temi chiave da affrontare, con urgenza, per sostenere questi sforzi e soddisfare qualsiasi pretesa di influenza. Sono anche i dossier con cui, nei prossimi mesi, il nuovo governo sarà chiamato a misurarsi: difendere l’interesse nazionale vuol dire, oggi, occuparsi anche e soprattutto di questo.

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