Ghiacciai e laghi: una crisi annunciata

Uno degli autori del rapporto sul riscaldamento globale premiato con il Nobel quindici anni fa richiama le previsioni scientifiche: addio a tutti i ghiacciai alpini entro il 2100 se non si cambia

Agli inizi di luglio il drammatico crollo di un tratto di ghiacciaio della Marmolada ha causato la morte di almeno dieci persone sotto una valanga di ghiaccio, neve e sassi. Il primo ministro Mario Draghi ha affermato che «la tragedia ha certamente un elemento di imponderabilità, ma è senza dubbio legata al deterioramento dell’ambiente e alla situazione climatica».

Diversi scienziati, nazionali e internazionali, sono stati più espliciti e hanno affermato che molto probabilmente il crollo non sarebbe avvenuto in assenza del cambiamento climatico. Il glaciologo Paul Christoffersen dell’Università di Cambridge ha dichiarato: «Il crollo del ghiacciaio della Marmolada è un disastro naturale direttamente connesso al cambiamento climatico». Le temperature alla cima della Marmolada (3.300 m) nei giorni precedenti l’evento avevano superato i 10°C, un valore decisamente anomalo per la “Signora delle Dolomiti”. In più, come ha detto Jonathan Bamber, glaciologo dell’Università di Bristol, «le Dolomiti hanno conosciuto una siccità per tutto l’inverno con pochissime nevicate. La mancanza di neve e le temperature insolitamente elevate in tutta la regione durante l’estate hanno causato un rapido scioglimento dei saracchi di ghiaccio che diventano particolarmente instabili in condizioni calde come quelle delle Dolomiti in questo momento».

I dati

L’Ipcc, la massima autorità scientifica in materia di cambiamenti climatici, nel suo ultimo rapporto di valutazione, pubblicato nel 2022, ha riportato, in una sezione dedicata ai possibili scenari per la criosfera, che negli ultimi 180 anni le temperature dell’arco alpino sono aumentate di circa 2°C, quasi il doppio della media del riscaldamento registrato a scala globale (1,1°C) e che quest’aumento della temperatura (specialmente in estate), insieme alla riduzione delle precipitazioni (specialmente in inverno), è la causa del drammatico ritiro di tutti gli apparati glaciali alpini, con variazione di superficie del -30% negli ultimi sei decenni e un’accelerazione della riduzione della superficie negli ultimi due decenni, per ghiacciai di dimensioni superiori a 0,1 km2. Dal 1850 i ghiacciai alpini hanno perso metà del loro volume e i tassi di perdita hanno avuto un’accelerazione negli ultimi 3 decenni. In più, l’Ipcc ha accertato che su scala globale i crolli catastrofici dei ghiacciai stanno diventando più frequenti e che a causa dell’aumento del tasso di scioglimento dei ghiacciai si è registrata una crescita del numero, dell’area totale e del volume dei laghi glaciali, facendo potenzialmente aumentare i rischi non banali di inondazioni da collasso degli stessi (in gergo “glacial lake outburst flood”, o “Glof”).

I glaciologi prevedono che il ritiro dei ghiacciai alpini continuerà per tutto il XXI secolo. In una ricerca del 2019 un gruppo di ricercatori del Politecnico di Zurigo ritiene che, a causa del riscaldamento globale provocato dalle emissioni già avvenute, metà del ghiaccio dei ghiacciai alpini è destinato a sciogliersi entro il 2050 e due terzi entro il 2100. Uno studio di Hock et al. (2019) conclude che la massa dei ghiacciai alpini potrebbe diminuire fino all’80% rispetto a quella registrata nel 2006. Secondo l’Ipcc, se l’accumulo di gas serra in atmosfera dovesse continuare al ritmo attuale, entro la fine del secolo tutti i ghiacciai dall’arco alpino potrebbero svanire.

La deglaciazione sta già determinando profonde variazioni al volume e alla variabilità del deflusso idrico nei bacini montani di tutto il mondo. Questa alterazione, pur con differenze da regione a regione del pianeta, si sviluppa secondo una sequenza tipica: all’inizio i ghiacciai, man mano che perdono la loro massa per effetto del cambiamento climatico, danno vita a un aumento del deflusso del torrente derivato dallo scioglimento degli stessi ghiacciai, fino ad raggiungere un valore massimo di deflusso, “il picco dell’acqua”, oltre il quale, man mano che il volume residuo del ghiacciaio diminuisce, il deflusso subisce una costante diminuzione negli anni. Secondo l’Ipcc, nella maggior parte delle regioni, inclusa quella alpina, il “picco dell’acqua” è già stato raggiunto o dovrebbe essere raggiunto prima della metà del secolo ed è già iniziata la fase di calo del deflusso idrico.

L’alterazione dell’idrologia dei bacini idrografici alpini d’alta quota ha già avuto impatti socio-economici e ambientali negativi molto significativi, per esempio in termini di riduzione di produzione d’energia idroelettrica, di produzione agricola e zootecnica, di entrate per il settore turistico e, aspetto non secondario, di alterazione del funzionamento e dell’equilibrio di grandi laghi, come il Lago di Como. La dinamica idrologica del lago di Como - come sostengono Fuso e collaboratori in un articolo pubblicato nel 2021 sulla prestigiosa rivista scientifica “Climate” - è infatti strettamente intrecciata con la complessa idrologia dei ghiacciai del bacino che lo alimenta. I risultati di questo studio indicano l’aspettativa di un aumento dei flussi durante le stagioni umide, invernali e (soprattutto) autunnali, e la successiva diminuzione durante le stagioni secche, primaverili e (soprattutto) estive, a causa dello slittamento del ciclo delle nevi e della diminuzione della copertura ghiacciata.

Scenari futuri

Tale situazione potrebbe peggiorare in futuro, in mancanza di misure di mitigazione delle emissioni secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi, con un ulteriore aumento della temperatura globale e locale e una seguente alterazione del regime pluviometrico.

Tali scenari avrebbero un impatto significativo sulla dinamica futura del lago e richiederebbero conseguenti misure attive di adattamento della gestione perché il lago di Como possa continuare a svolgere le sue molteplici funzioni (perché il cambiamento climatico si affronta non solo con la mitigazione, ma anche con l’adattamento), inclusa quella importante di raccolta delle acque utilizzate per l’irrigazione delle aree agricole a valle.

A questo proposito occorre sottolineare che esiste una vasta letteratura scientifica, nazionale e internazionale, basato su dati e informazioni acquisiti in situ o tramite osservazione satellitari, che - in linea con la migliore scienza contemporanea iniziata proprio dall’Ipcc - suggerisce anche soluzioni per il funzionamento ottimale del lago di Como negli scenari idrologici e climatici, presenti e (potenziali) futuri. È compito dei decisori politici, anche in regime di incertezza, considerare le opzioni e le soluzioni proposte dalla comunità scientifica, assumere decisioni in-formate per affrontare in maniera attiva e responsabile gli effetti della crisi climatica e trasformarli in opportunità di ripresa e resilienza.
Lorenzo Ciccarese

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