Il Cai: «Giusto non
aprire gli impianti»

Il presidente Camanni: «Gli ospedali sono con l’acqua alla gola e poi c’è il rischio degli infortuni»

«In questa fase aprire gli impianti è troppo pericoloso. Gli ospedali sono con l’acqua alla gola e non si può tirare la corda all’infinito, e, poi, c’è da valutare tutto l’aspetto infortunistico legato alla fruizione delle piste. Chi lo affronta nelle condizioni in cui siamo? Sarebbe un disastro. Credo che un sacrificio si imponga».

Parola di Paolo Camanni, presidente del Club Alpino Italiano, sezione Valtellinese, di Sondrio, la più antica delle undici presenti in provincia, sorta nel 1872, e prossima a compiere, quindi, il suo 150°. Sono 1500 i soci affiliati e Camanni è fra quanti, di fronte all’opzione impianti aperti, impianti chiusi, non si straccia le vesti.

«Gli appassionati dello sci ne soffrirebbero, ma sono convinto che avremmo, comunque - dice -, un’altissima concentrazione di persone in montagna anche senza impianti funzionanti. Anzi, persino di più»

Camanni ne è convinto e non è il solo. Del resto, il Cai, è, da sempre, per una montagna “lenta”.

«Una modalità di fruizione che non è tramontata, anzi - assicura -. Proprio la pandemia ci ha fatto riscoprire luoghi stupendi, dimenticati. Noi sondriesi stessi, dopo anni, abbiamo riscoperto il monte Rolla con le sue bellissime passeggiate, oggi frequentatissime. Senza dire del flusso turistico estivo. Fiumane di persone hanno raggiunto i nostri comprensori, in Val Masino, Val di Mello, Campo Moro. Fin troppe, in un certo senso, anche se, poi, per fortuna, si sono spalmate sull’intera alta quota, prendendo strade e sentieri diversi. E lo stesso accadrebbe quest’inverno, pur in assenza dei comprensori sciistici funzionanti. Anzi, comprensori liberi, significherebbe una fruizione libera, un riprenderci i nostri spazi, sottratti alle passeggiate dagli impianti, perchè, di norma, le grandi strutture sono sorte sui terreni più belli, un tempo mete di escursioni per antonomasia».

E quello che ha in mente Camanni, non è un turismo di nicchia, fatto di scialpinisti e di persone che vivono la montagna come fatica dell’ascesa, dell’escursione impegnativa.

«Ci sono anche questi estimatori dell’alta quota, ovvio - precisa -, ma io vedo la montagna zeppa di persone semplici, normali, che salgono dalle città col solo e unico scopo di cambiare aria, di stare in mezzo alla natura, passeggiare, rilassarsi, nel silenzio. Null’altro. Semmai la slitta per i bambini. Stop. Non vedo e non leggo la frenesia di andare su e giù, per forza di cose, dalle piste».

Come gestire gli arrivi

«Anzi - aggiunge -, mi piacerebbe analizzare, una volta, i dati, ma credo che un buon 50%, e fors’anche più di coloro che raggiungono la montagna in inverno, in realtà, non scia. E vorrebbe godere di maggiori alternative, ma non grandi cose, non chissà quali proposte, non il parco giochi. Cose semplici, autentiche. Natura, passeggio, silenzio assoluto, buon cibo. Basta».

Semmai, per Camanni, il punto è, come gestire questi arrivi. Come portare in montagna le persone.

«Questa è la grande sfida - insiste -, perché se non gestiamo questi aspetti, potenziando i trasporti, treno, autobus, navette, avremo sempre l’invasione di auto a ridosso delle località di punta, senza sapere come affrontare gli ingorghi. Estate e inverno. Questo è il nodo cruciale sul quale occorre concentrare ogni attenzione».

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