«Un vero piacere cantare da voi
I luoghi antichi creano atmosfera»

Morbegno Ruggiero sarà in concerto all’auditorium «Con il pianista Olzer, emulerà il suono dell’organo Il segreto del successo? Scegliere una strada e seguirla»

Antonella Ruggiero, voce straordinaria e orecchie ben aperte su tutta la musica, torna in valle a nemmeno due mesi dal grande successo di Civo. Stavolta all’auditorium di Morbegno dove sarà in concerto venerdì con il pianista Roberto Holzer. Un altro imperdibile appuntamento proposto da AmbriaJazz nel cartellone condiviso con Ama Musica Morbegno, Orchestra Fiati di Valtellina, Orchestra Vivaldi e Amici della Musica Sondalo. Aperta e disponibile, la cantautrice ha rispo+sto alle nostre domande, sulla musica, gli effetti della “clausura” in lockdown, i talent show e altri temi ancora.

Quali sono le sue sensazioni alla vigilia del concerto di Morbegno?

È sempre un piacere venire in territori come il vostro, specie in autunno, una stagione che amo particolarmente, uno spettacolo intenso che unisce visioni naturali, colori, profumi. Cantare in una ex chiesa del Quattrocento poi, è un grande motivo di interesse, per me, ma anche per il pubblico. Ritrovarsi in posti come questi è sempre importante, molto diverso da come potrebbe essere in un cubo di cemento senza anima. Un luogo antico ha sempre un’atmosfera particolare e questo aiuta non poco la qualità dell’esibizione. Per fortuna, negli ultimi tempi, le proposte mi arrivano da organizzatori attenti alla bellezza delle situazioni.

Che cosa dobbiamo attenderci da questo concerto?

Sarò con un pianista bravissimo come Roberto Olzer che emulerà alla tastiera anche l’organo liturgico. Faremo un percorso all’interno di varie epoche e con brani di repertorio rielaborati, tenendo fede al concetto di “versatile” espresso nel titolo.

Usciamo da una pandemia che ha praticamente paralizzato il settore. Come ha vissuto questi due anni di limitazioni e chiusure?

La cosa strana è che ho comunque potuto fare cose belle in certi luoghi. Sono riuscita a tenere concerti anche nel periodo del secondo lockdown, talvolta senza pubblico, utilizzando il video e quindi non mi sono praticamente mai fermata. Non ho vissuto questo periodo come privazione della mia libertà, perché sono convinta che siano state prese misure necessarie per la salute di tutti. Anzi. Per me, come credo per molti altri, è stata un’occasione preziosa di raccoglimento, un modo di pensare alle cose che veramente contano nella vita. Purtroppo non ne siamo usciti molto migliorati, vedo, ed è un peccato.

Esiste un segreto per una carriera così lunga come la sua?

Nessun segreto. Non ho mai seguito né mode né momenti, amo pensare al mio come ad un laboratorio artigianale insieme a Roberto Colombo, mio marito, un modo di lavorare e vivere percorrendo strade laterali anziché autostrade, ma comunque arrivando da qualche parte. E’ un privilegio raro poter fare scelte personali, collaborare con i musicisti che si vogliono senza quelle pressioni discografiche che hanno poco a che fare con l’arte.

Fa qualcosa di particolare per la voce?

Non prendo freddo, non urlo, non parlo a voce alta. Niente di speciale, seguo solo i consigli della nonna (ride).

La sua Genova è stata una città musicale importante negli anni Sessanta e Settanta. C’è ancora una scena interessante, oggi?

Non più. Tutto purtroppo finisce, non ci sono più i cantautori storici, Tenco, De André, Lauzi. Genova è una città introversa, particolare, anche un po’ chiusa. Da tanti anni la ripercorro col pensiero, vivendo tra la Brianza verde e Berlino, dove ho un’altra casa. Qui è tutto molto vivace, ma ci trovo ancora spunti interessanti. Ho cantato musica ebraica nella sinagoga di Berlino, l’unica rimasta in piedi dopo il nazismo e la guerra. Un’emozione fortissima, dritta al cuore.

Un suo parere sui talent show.

Dipende da quello che uno vuole. Se uno ambisce ad una visibilità rapida, senz’altro. Ma se si vuole una carriera lunga e soddisfacente, ci si deve impegnare. Talento e fortuna contano, ma ci vuole anche la testa per gestirsi. I talent sono macchine che propongono esseri umani ai riflettori. E spesso li stritolano. Io non andrei mai a fare il giudice, è crudele eliminare gente che si presenta con entusiasmo. Arrivano grandi delusioni, che possono segnare una vita. Invece è solo uno stupido gioco.

E il web, i social, youtube, possono essere un’utile alternativa per farsi conoscere?

I giovani sono agguerriti con le tecnologie, le padroneggiano molto più di noi per mettersi in rete. Si buttano nella mischia con coraggio e anche un po’ di incoscienza, fanno bene”.

Cosa sta ascoltando ora?

Musica che mi porta verso cose nuove che faremo, andando oltre la forma canzone. Dal folklore della Lapponia, a certa sinfonica, certa classica. Scelgo quello che mi piace: alcune cose di Grieg mi portano lontano verso paesaggi nordici, altre non mi dicono niente. Pop o rock o jazz, ogni genere regala qualcosa, al di là di ogni definizione. È come il cibo, ci sono cose che mangi e altre che lasci stare. In un mondo sempre più sommerso da informazioni, è bello poter cercare, a volte anche con fatica.

E da giovane, agli inizi?

La musica della radio dei genitori, soprattutto: i cori alpini della SAT, lo swing, l’operetta, le canzoni italiane. Poi è arrivata la Tamla Motown: Mary Wells, Diana Ross, Martha Reeves. E, dall’Atlantic, la grande Aretha Franklin. È stata una folgorazione, artiste che combattevano dure battaglie in un mondo maschilista. Prima di loro, voci americane che sapevano di Africa come quelle di Bessie Smith, Billie Holiday, Ella Fitzgerald non hanno spalancato porte, ma portoni. Musica che nasce dalla sofferenza e dalla miseria, da qui l’essere umano ha sempre tratto grandi cose. E poi grandi autrici come Joni Mitchell, Joan Baez, Carole King: viene tutto da lì, tra i Sessanta e i Settanta, è ancora tutto qui.

Un consiglio per un giovane che vuole fare musica seriamente.

Prima di tutto fare una scelta di grande fermezza. Trovare un insegnante, una scuola, un luogo che ti aiutino veramente a crescere. Non è facile, ci vuole molta fortuna e tenacia. E poi ascoltare tanto, soprattutto quello che viene dal passato. Cominciando magari da piccolissimi, all’asilo. Nelle scuole non dovrebbero insegnare musica, ma “le musiche” come si fa con “le religioni”. I bambini sono ricettivi, assorbono. Se avessero sempre utilizzato il metodo di Maria Montessori, credo che i risultati educativi sarebbero stati diversi.
Paolo Redaelli

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