Terracotte e versi immortali
È “L’arte che cerca l’arte”

Da una parte i meravigliosi versi del poeta Giuseppe Ungaretti e, dall’altra, un’arte ingiustamente considerata minore: la lavorazione della ceramica, o più precisamente dell’argilla.
È un accostamento inedito ma stimolante quello proposto nella mostra “L’arte che cerca l’arte”, curata da Paola Rainoldi, che si può visitare fino a domenica 27 ottobre (orario 10-12, 17-19) al piano terra di palazzo Pretorio a Sondrio. L’autore delle ceramiche policrome, Pietro Mazzoletti (1898-1957), ha trasfuso nelle realizzazioni le sue esperienze di vita, analoghe a quelle del poeta, prime fra tutte le tragiche circostanze delle due guerre mondiali. Nell’esposizione - che gode del patrocinio del Comune di Sondrio, dell’Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei di Gorizia e del Centro culturale don Minzoni di Sondrio - si mette in evidenza come i due linguaggi (ceramica e poesia) possono veicolare gli stessi sentimenti e le stesse suggestioni a partire appunto dall’esperienza comune delle guerre mondiali e del dolore, ma non solo. «La bellezza di un oggetto spesso si separa dalla funzionalità per diventare comunicazione e relazione con chi ne può godere e creare così un universo inedito, ma anche un dialogo misterioso con la propria interiorità – spiega Rainoldi nella presentazione -. L’artista infatti, grazie al privilegio umano della manipolazione, insieme ai materiali, plasma soprattutto la “materia” della propria umanità. Inoltre l’arte, più o meno consapevolmente, diventa dialogo con una alterità, perché l’uomo nella creazione artistica ridà ciò che riceve, lo splendore della natura, il dolore dell’esistenza, il desiderio di prossimità, l’angoscia di un silenzio, la dolcezza di una nostalgia». A titolo di esempio riportiamo il confronto fra l’opera “Arlecchino pensante” (maiolica policroma, altezza 30 cm) e alcuni versi di “Italia” tratti da “Allegria di naufragi”: «(Sono) un grido unanime/ sono un grumo di sogni/ sono un frutto/ di innumerevoli contrasti di innesti” maturato in una serra». Nella poesia “Italia” si colgono le molteplici identità ed esperienze del poeta: Alessandria d’Egitto, Parigi, la trincea sull’Isonzo, poi Roma e San Paolo (Brasile). «Questi sono gli innumerevoli scampoli di vita del poeta – afferma la curatrice - per mantenere l’analogia con Arlecchino, le pezze sgargianti che ne formano il vestito. Nella poesia l’io lirico non è singolo, ma il portatore di un grido unanime, di “innumerevoli contrasti di innesti”. Arlecchino (come si può vedere nella statuetta, nda) non ha una faccia, porta sempre una maschera, non ha una personalità qualificante, è un bugiardo patologico. Il costume che lo veste non ha un taglio definito, ma è un’accozzaglia di pezze di vari colori. Affamato, in cerca di guai, magari un po’ ingenuo, ma ricco di fantasia e immaginazione è in equilibrio precario fra verità e menzogna».

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