Passione e dolore nel Kohlhaas di Baliani. Uno spettacolo emozionante

Rassegna “Voci umane. Musei e teatri di narrazione”. Grande prova dell’attore che ha incantato il pubblico. Solo sul palco senza scenografia, una sedia e le luci

Il cerchio come quello del recinto dove corrono i cavalli di Michele Kohlhaas, allevatore vissuto nella Germania del 1500. Il cerchio come quello del cuore di Michele in cui entra, simbolicamente, un ago, ma poi la rottura diventa fenditura, strappo, voragine. Ed, infine, il cerchio della giustizia, perché tutti gli anelli si devono - anzi si dovrebbero - prima o poi chiudere, affinché la giustizia sia tale.

Una metafora pura e potente insieme, quella della circolarità - ribadita più e più volte nel corso dello spettacolo quasi come un profetico ritornello - entra nelle orecchie e nel cuore, appunto, dello spettatore e ascoltatore seduto nel cortile di palazzo Besta a Teglio di fronte alla grandezza dell’attore Marco Baliani che a quel Kohlhaas - veramente esistito - dà voce, corpo e anima nel terzo appuntamento della prima edizione del festival “Voci umane. Musei e teatri di narrazione” promosso dalla Direzione regionale musei Lombardia domenica sera.

La giustizia umana e divina

Il senso e il significato della giustizia, umana e divina, personale e collettiva, viene ricercato e portato alla riflessione di tutti, nella consapevolezza che, sulla bilancia, delicato è l’equilibrio fra giustizia e giustiziere, fra giustizia e vendetta. La storia è quella del commerciante di cavalli, per il quale i cavalli sono i suoi «gioielli», che, diretto a Dresda, rimane vittima di un sopruso e, insieme a lui, anche i suoi due morelli ridotti a pelle e ossa. Un sopruso e non uno scherzo, come minimizza qualcuno. E così Michele decide di rivolgersi ad un avvocato e affidarsi alla giustizia, perché «se si lascia perdere, allora il cerchio del mondo si può rompere in qualsiasi momento per un gesto arbitrario, di puro potere».

L’esercito e la rivolta

Ma la legge è uguale per tutti? Purtroppo così non sembra. E pure la via della richiesta di supplica all’imperatore porta a conseguenze ancora più gravi con la morte della moglie. Michele perde la testa, potremmo dire, intima al barone che l’ha ingannato di restituirgli i cavalli «belli, forti e sani» entro tre giorni e tre notti, diversamente avrebbe messo a ferro e fuoco la città.

Inascoltato, Kholhaas procede con il suo piano, la rivolta - alimentata dal malcontento di contadini e poveri - si diffonde e una quindicina di città vengono conquistate. «L’esercito di Kholhaas sembra un torrente che straripa».

Ma c’è un momento in cui Kholhaas, quando vede le sue mani imbrattate di sangue, si domanda: «Il desiderio degli ingiusti è la vendetta. Ma il desiderio dei giusti qual è? Non dovrebbe essere la giustizia?». Michele vuole restare nel cerchio dei buoni ed è lì che ritorna, anche se - ancora una volta imbrogliato - viene arrestato. E, quando ha la possibilità di essere liberato rinnegando, però, il principio per cui ha lottato tutta la vita, preferisce la morte. Il suo cuore è, dunque, «restituito» all’antico recinto.

Ebbene in tutto questo Baliani è semplicemente sensazionale. Seduto su una sedia per oltre un’ora, non ha bisogno di luci o scenografia - tolta la meravigliosa location di palazzo Besta - basta lui. Lui che fa tutto: recita - e come recita - modula la voce, gesticola con braccia, mani e piedi, fa del suo corpo quasi uno strumento a percussione che diventa cavallo che trotta mentre gli zoccoli battono a terra o mille uomini che combattono. La sua è parola “piena”. Una grande lezione di teatro di cui occorre nutrirsi.

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