L’uomo dei semi, il sogno di Pavilov
portato sul palco

Tirano Prima serata del festival Valtellina Valchiavenna Ripercorsa la storia dell’agronomo russo morto nel 1943 che girò il mondo per raccogliere anche bulbi e radici

«Un seme è un regalo che non è ancora stato aperto, è tutta una vita che è stata impacchettata dentro».

Cosicché «il cibo non sono solo cereali o pane, ma è soprattutto uguaglianza, giustizia, futuro». Ne era convinto Nikolaj Ivanovic Vavilov, agronomo russo nato a Mosca nel 1887 e morto a Saratov nel 1943, professore universitario, scienziato ed esploratore che ha girato il mondo in lungo e in largo per raccogliere semi, bulbi e radici.

I contadini

Si fermava con i contadini, che per lui erano “scienziati della terra”, con loro conversava (Vavilov conosceva 15 lingue), si faceva dare un seme che confluiva nella prima Banca di semi e piante commestibili al mondo, formata da 250mila esemplari. Di questo scienziato – a dire il vero poco conosciuto, ma pioniere degli studi sulla biodiversità e sul patrimonio naturalistico e culturale di tutti i popoli della Terra - ha raccontato l’attore Stefano Panzeri che, in piazza Salis a Tirano, ha aperto il Teatro Festival Valtellina Valchiavenna con lo spettacolo “Semi”.

Il sogno di Vavilov era quello di trovare una soluzione al problema della fame in Russia e nel resto del mondo e ha portato avanti questa sua missione nonostante i pericoli e l’avversione di Stalin che, alla fine, lo ha fatto imprigionare, torturare e condannare con l’assurda motivazione di aver causato il crollo dell’agricoltura nell’Unione Sovietica. Voce narrante dello spettacolo è quella di Yuri, il secondo figlio di Vavilov, che descrive la vita del padre, la sua ascesa e il suo drammatico declino, causato per l’appunto dalla politica dittatoriale di Stalin. Secondo il «dottore delle piante», come lo chiamava il figlio, c’erano otto zone in cui erano nate le piante coltivate sulla Terra. I suoi studi erano ammirati, finché – grazie al tradimento di un suo pupillo – Vavilov è finito con le spalle al muro. Ma cosa è successo a tutti i suoi semi? Coraggiosi colleghi ricercatori li hanno messi in scatole, convinti che fossero i «germogli di futuro» da preservare. E così mentre, fuori sulle strade durante la battaglia di Stalingrado, la gente moriva, i ricercatori hanno difeso i semi e li hanno salvati, pur morendo essi stessi di fame.

Stefano Panzeri conduce lo spettatore nella vita dello scienziato russo con garbo, con una recitazione equilibrata nei modi e nei tempi, un monologo civile e scientifico insieme.

Spettacolo attualissimo

Il suo è un one man show visto che Panzeri è seduto in una sorta di quadrato di terra (alla fine si scoprirà meglio cosa rappresenta) in cui comanda luci e musiche durante lo spettacolo di narrazione, nato durante la pandemia proprio per essere rappresentato davanti ad uno schermo in modo che fosse fruibile “da casa”. Il format è restato tale anche ora e è pure convincente: in conclusione è la stessa voce recitante a svelare di aver raggiunto il padre nella morte, rappresentata sotto terra dove le radici si scorgono sopra la testa.

Un ottimo inizio per il Teatro Festival grazie ad uno spettacolo che si rivela estremamente attuale sia per le problematiche legate alle forniture di grano causate dalla guerra russo-ucraina, sia per il messaggio volto alla difesa della biodiversità.

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