La raccolta di Vaninetti Un viaggio tra i grandi

La mostra allestita al Mvsa è intima e straordinaria: da Chagall a Dalì, da Magritte a Picasso. «Amo le cose umili, nascondono segrete forze che la maggior parte della gente non riesce a vedere»

L’incisione “Il leone va in guerra” di Marc Chagall, tratta dal ciclo di “Favole” di La Fontaine, potrebbe essere una didascalia della mostra “Dalla raccolta di Angelo Vaninetti. Un viaggio tra i maestri del Novecento”, allestita a palazzo Sassi de Lavizzari, sede del Museo valtellinese di storia e arte, a Sondrio.

Il grande scrittore francese racconta nelle “Favole” di un leone che, dovendo affrontare una guerra, chiama a raccolta tutti gli animali, anche quelli considerati più umili e i più inutili. La morale della favola è questa: «Il leone capì, da saggio/ che si può trarre vantaggio/ da qualunque attività. Nulla è inutile a chi sa». L’artista valtellinese avrebbe certamente condiviso questa massima. Lui che amava essere «fedele alle cose più povere».

I migliori del Novecento

Di fatto è intimamente e umilmente straordinaria la mostra al Mvsa, allestita grazie alla generosità di Annalisa Vaninetti, figlia di Angelo Vaninetti, e di Armida Righini Vaninetti. Una collezione che porta nella città di Sondrio artisti come Bruno Cassinari, Marc Chagall, Salvador Dalì, Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Renè Magritte e Pablo Picasso, solo per citarne alcuni, e che offre opere grafiche che permettono non solo la conoscenza di grandi artisti del Novecento, ma aiutano anche a penetrare nell’animo di chi le ha scelte o ricevute tessendo un immaginario filo di relazioni tra Angelo Vaninetti e altri artisti. Ora è anche disponibile un bel catalogo dove trovare tutte le opere esposte, con l’intervento critico di Elena Pontiggia e dell’assessore alla Cultura, Marcella Fratta.

«Qualcuno ha detto che una raccolta d’arte è l’immagine del collezionista che l’ha costruita: è il suo specchio e quasi il suo diario - scrive Elena Pontiggia - La frase può attagliarsi anche a quella di Angelo Vaninetti presentata in questa mostra: non perché l’artista abbia necessariamente scelto ogni opera, alcune sono doni, frutto di scambi con pittori amici, ma perché nella sequenza dei quadri che possedeva e che amava si riflette qualche cosa di lui della sua personalità e del suo sguardo».

A differenza di certe raccolte fondate sul mero valore commerciale, in cui tele e sculture sono considerate come azioni di borsa, qui ogni lavoro è conservato solo per il suo valore artistico indipendentemente da calcoli commerciali.

Il comune denominatore

«È interessante anzi notare - sottolinea la critica e storica dell’arte - che parte preponderante vi abbia l’opera su carta, che in Italia è ritenuta una produzione minore e, invece, ha una sorta di valore aggiunto: un accento intimo che spesso rivela l’officina e le prime idee di un artista».

Si può dire che molti lavori abbiano qualcosa in comune; ci sono diversi esempi di attenzione alla natura, alle piccole cose, alle piccole forme di vita. Non è un caso se si pensa che Vaninetti ha scritto, come già detto, «amo le cose umili perché nascondono segrete forze che la maggior parte della gente non riesce a vedere».

Pontiggia propone, quindi, una carrellata delle opere da un protagonista della Scuola Romana come Luigi Bartolini, artista raffinato e intenso che non ha ancora tutta la fama che meriterebbe.

La pittura di Filippo De Pisis è una riflessione su quello che egli chiamava «paradiso provvisorio», sulla precarietà di ogni forma di bellezza. Lo stesso spirito che conduce anche Vaninetti quando dipinge una scodella, una rondine o un girasole. Ecco Ennio Morlotti con la sua capacità di interpretare il paesaggio, per così dire dall’interno.

Opere particolari

«L’arte informale di cui è stato protagonista non voleva raffigurare la natura, ma entrarvi dentro – rimarca Pontiggia - Le sue rocce rappresentano l’essenza della roccia, della pietra, della montagna. Nella raccolta è presente una litografia del Picasso più barbarico, non del Picasso mentale del cubismo ma quello sanguigno degli anni più tardi, dove delle forme compare il loro rigoglio, la loro vitalità traboccante e sensuale».

«Accanto a Picasso un altro grande spagnolo come Salvador Dalì di cui Vaninetti possiede un’opera più naturalistica e segreta, che parla di una natura metamorfica in cui l’uomo e la vegetazione si confondono. E ancora un altro surrealista come René Magritte «la cui arte si fonda sul contrasto tra la precisione fiamminga delle figure e la loro inspiegabilità. Come nell’opera esposta a Sondrio: un cappello che non sta sulla testa, ma sotto la testa di un uomo».

Si prosegue con una tenera e malinconica famiglia di figure di Felice Casorati; una donna metafisica dell’ultima stagione di Mario Tozzi, il tratto potente sintetico di Mario Sironi, il realismo senza tempo di Guido Somaré.

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