La lotta dei teatri in tempo di guerra

Al Sociale Emozioni alla rappresentazione del“Servo di scena” ambientato nel 1940, ma che fa pensare all’Ucraina

Fuori dal teatro si sentono le sirene che incitano la popolazione a raggiungere i rifugi antiaerei e, poi, piovere le bombe. Ci sono teatri rasi al suolo. Validi attori sono al fronte, qualcuno è stato arrestato. Ma la recita non viene cancellata, non può essere cancellata.

Una storia che si ripete

“Servo di scena”, lo spettacolo con cui si è aperto, martedì sera, “Sondrio Teatro” è stato scritto nel 1979 da Ronald Harwood e ambientato nell’Inghilterra del 1940, in pieno conflitto mondiale, ma la prima (amara) sensazione che il pubblico del Teatro Sociale di Sondrio prova è quella di una storia che si ripete. Come se non si fosse imparato nulla. È quanto sta accadendo in Ucraina ormai da mesi.

Teatri che hanno chiuso e qualcuno che ha tenacemente riaperto. Attori che hanno richiesto al governo un lasciapassare speciale per poter uscire dallo Stato in tournée, come nel caso degli artisti arrivati a Tirano la scorsa estate.

In quest’atmosfera che ci coinvolge, perché la sentiamo viva e vicina, va in scena uno spettacolo dove il teatro e, forse, le arti in generale hanno una missione: quella di continuare ad esserci anche esorcizzando i traumi bellici, perché il teatro è vita e la vita è teatro. Lo sa bene Geppy Gleijeses-sir Roland, protagonista di “Servo di scena” e – con la tecnica del metateatro – di “Re Lear”, un anziano attore, acclamato dal pubblico, capriccioso come una star sa essere, ma nello stesso tempo volubile. Stanco e un po’ annoiato di rappresentare Shakespeare per la 227esima volta e di «mettere vestiti non miei», dice, ma consapevole di «dover sollevare il mondo» dalle cose orribili, di «dover mantenere un patto».

Quella dell’attore «è una lotta per la sopravvivenza», «non ho più niente da dare, ma non voglio, non devo e non posso cancellare lo spettacolo».

La funzione del teatro si sdoppia: da una parte è più intima e personale e diventa per l’attore una linfa vitale cui non riesce a sottrarsi perché lo nutre anche nella sua vecchiaia, dall’altra è una forza rigenerante e consolante per il pubblico. Il tutto è condito da una sapiente ironia in quanto sir Roland non si trattiene da fare la prima donna («tieniti fuori dal mio campo visivo – dice ad un giovane attore –; la luce è tutta per me. Resta immobile quando sei in scena»), dall’essere ancora seduttore con le giovani leve o dal comportarsi in maniera scorbutica con il servo di scena Norman (Maurizio Micheli) che sa toccare le corde giuste del sir sottolineando come il teatro sia tutto esaurito, quasi coccolandolo nel camerino mentre lo veste o gli ricorda le prime battute.

Autobiografia incompleta

Alla fine “Re Lear” riesce ad andare in scena e sul palco di Sondrio viene rappresentato ad un secondo livello come se noi spettatori assistessimo sia allo spettacolo sia a quando avviene dietro le quinte con la scena della tempesta genuinamente artigianale, ma non meno affascinante. «Decido io quando sarà l’ora di andare nel deposito rifiuti», aveva detto prepotentemente sir Roland prima dell’ennesima replica e, proprio dopo questa, sprofondato nella poltrona del suo camerino, fa leggere a Norman la dedica della sua autobiografia che resterà, però, incompleta. Basta il titolo “La mia vita”.

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