Il quaderno di Ritter vita d’artista a fumetti

Presentata in Bregaglia “Das Protokoll - il rendiconto” del pittore e illustratore. In tedesco e italiano. Un’autobiografia che riflette sulla vecchiaia e nella quale ci sono anche riferimenti alla Valchiavenna

Cinque anni fa era uscito un Quaderno illustrato intitolato “Al me Mungac”, come si chiama il monte in Bregaglia svizzera, tra Bondo e Promontogno. Autori il pittore Bruno Ritter e l’amico “di vecchia data” Gian Andrea Walther.

Allora Ritter aveva illustrato da par suo, con quel tratto caricaturale, libero e calzante che lo contraddistingue, l’avventura di una scalata del monte, commentata dai due amici, e resa da lui con la consueta mossa freschezza e un piglio umoristico, raro perché mantenuto anche nei confronti di se stesso, con rapidi schizzi, talora impietosi, in bianco-nero e a colori a far rivivere speranze e delusioni. Un’avventura, insomma, di cui il pittore tratteggia la “paura della salita”, ma anche della discesa, concludendo con un ritratto di lui che, dopo l’impresa, confessa all’amico-guida (si fa per dire): “Caro Gian! Ti prego. Mai più Mungac!”.

Il rendiconto

Adesso Bruno Ritter torna con “il Quaderno” numero 2: “Das Protokoll. Il rendiconto”. Lo ha presentato agli amici l’8 luglio scorso nella sala d’arte di Coltura in Bregaglia svizzera, con l’intervento di Gian Andrea Walther e di David Wille. Mentre nel primo aveva dato la precedenza alla lingua italiana, con un riepilogo finale in tedesco, qui ha invertito i fattori, mettendo in coda la traduzione in italiano, affidata all’amico Gian Andrea. Del resto Bruno Ritter è nato nella Svizzera tedesca, precisamente nel 1951 a Cham nel canton Zug. Diplomato in disegno all’università delle arti di Zurigo nel 1975, insegnò in varie scuole superiori di quel cantone. Aprì un atelier di grafica a Sciaffusa, finché nel 1982 si stabilì in val Bregaglia italiana, precisamente a Canete di Villa di Chiavenna, a due passi dal confine italo-svizzero, salendo nel 1994 nella parte svizzera della stessa valle, prima a Maloja, poi a Borgonovo, dove risiede tuttora. Ma il suo atelier è al castello di Chiavenna.

Al castello

Chi come me ha visitato il suo grande studio, che comprende la metà destra del piano rialzato del castello, ha dovuto, a dispetto dell’ampiezza del locale, farsi strada tra tele dipinte o abbozzate, fogli di incisioni, cavalletti, libri e tutto quello che uno può immaginare in un atelier d’arte. Un ambiente storico, seppur ricostruito nel 1930, tranne che in facciata, situato dietro la fronte di un palazzo eretto nel ’400 dai conti Balbiani, feudatari dei duchi di Milano. Fu diroccato una cinquantina di anni dopo dai nuovi dominatori grigioni e per quattro secoli rimase in piedi lo scheletro della facciata, racchiusa ai lati da due torri cilindriche, e poco più. Per il suo aspetto fortificato i chiavennaschi lo chiamano castello, anche se quello vero e proprio era sulla rocca gemina del Paradiso e del Belvedere o Castellaccio. Fu Giovan Battista Mazzina di Gordona, che aveva fatto fortuna in America del sud diventando proprietario di importanti alberghi tra Argentina e Uruguay, a comprare sulla stessa piazza l’albergo Conradi (oggi chiuso, anzi abbandonato) e il rudere del palazzo comitale, che fece ricostruire. Qui, al piano rialzato, trovarono posto due sale prestigiose dove servire i pasti alla clientela. In quella di destra, oggi atelier Ritter, troneggia sulla parete sinistra una grande mappa illustrata di Chiavenna, dipinta dal decoratore locale Italo Rizzi.

Riflessioni

Dice Bruno Ritter in apertura del suo Quaderno: «Quando si arriva ai 70 …, si scrive un’autobiografia, o si muore e basta. Io ho deciso di autodisegnarmi, probabilmente nel tentativo di lasciare un’eredità. Naturalmente, anche con una buona dose di contenuti per qualsiasi tipo di discendenza che sia disposta ad assistere a un decadimento». Così, con il consueto umorismo, che sfiora il cinismo, Bruno Ritter introduce il tema del suo secondo libro, aggiungendo una nota esplicativa: «I disegni sono stati realizzati durante gli ultimi 2 anni, in modo spontaneo, ispirati a ricordi dell’anziano signore che celebra il suo «teatro della vita», poco prima di giungere al capolinea». Il Quaderno si presenta come una biografia a fumetti dove, più che il tempo, è il libero scorrere dei ricordi a dettare l’ordine. Com’è stato acutamente notato da Claudio Di Scalzo, recensendo il lavoro sul mensile “Valchiavenna” di luglio, “questo fine umorismo declinato in immagini” è sulla scia di quello ideato dallo scrittore-illustratore ginevrino Rodolphe Töpffer, uno dei fondatori del fumetto, il quale in “Voyage en zigzag” sulle Alpi (1884 e successive edizioni) trattò anche della Valchiavenna. Qui era capitato con altri quattro amici, e ne documentò il passaggio con altrettante vignette: l’ultima presenta tutta la comitiva tenuta al freddo in fila davanti alla caserma di Montespluga dal ligio commissario del regno Lombardo-Veneto per mancanza di un passaporto.

Chiavenna

Non mancano nel Quaderno, godibilissimo, di Ritter i riferimenti alla Valchiavenna come quelli degli ambienti lungo il percorso in auto verso lo studio di Chiavenna, come il suo stesso atelier, come le rocche alle spalle, un tempo fortificate e il settecentesco palazzo Salis, che chiude sul lato opposto la piazza. Altri disegni “chiavennaschi” riguardano il suo lavoro al Castello e quella piazza vuota che suscita il pensiero della morte. Un libro agrodolce, mai ripetitivo, che fa riflettere sulla provvisorietà della vita, sul passare degli anni e su alcuni effimeri traguardi, a dispetto di un tratto grafico e di un colore palpitante. Struggente l’immagine finale, con la fiamma della candela che va spegnendosi, il libro che si chiude, le scarpe allineate in disparte, la penna deposta e il pittore che conclude: “Ora stacco delicatamente la spina e vado a casa!”. È ovviamente il rendiconto di una frazione della sua vita e della sua arte, perché il suo lavoro d’artista prosegue alla grande (basterebbe dare un’occhiata al suo affollato studio) e anche di questo attendiamo i frutti. Ai prossimi decenni il Quaderno numero tre!

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