I volti delle orobie le radici in immagini

Ristampato il libro di Pietro Redaelli a distanza di vent'anni dalla pubblicazione. Le fotografie in bianco e nero risaltano l’ attaccamento al semplice e al rustico

Forza, dignità, umiltà, fatica, gioia, armonia con l’ambiente circostante sono alcune delle sensazioni che le foto racchiuse nel libro “Volti e immagini delle Orobie valtellinesi” con foto di Pietro Redaelli, a distanza di più di vent’anni dalla prima pubblicazione, riescono ancora a evocare nell’animo di chi si sofferma contemplarle. Ne è convinto l’assessore alla Cultura del Comune di Piateda, Giovanna Simonini, nel presentare la ristampa del libro che l’amministrazione comunale di Piateda, insieme alla biblioteca e all’Officina della cultura, ha voluto come ennesima tappa del percorso di riscoperta delle tradizioni, della storia, della cultura, del paesaggio di Piateda.

Tanto da raccontare

L’intervento di Simonini viene riprodotto di fianco a quello che, nell’ottobre 1996, l’allora sindaco Alberto Rampa aveva scritto in occasione della presentazione del libro e della mostra annessa. «Nonostante gli anni passati le foto hanno ancora tanto da raccontarci – sostiene Simonini -, ricordandoci persone, luoghi, riti e valori che identificano la nostra comunità. Leggendo poi lo scritto che vi è contenuto troveremo concetti ancora così attuali ai giorni nostri». Tant’è, infatti, che non c’è valle, non c’è pascolo o ghiacciaio, non c’è bosco o torrente, non c’è, insomma, angolo di montagna che non si faccia cogliere e capire nella sua interezza, nel suo contesto generale.

«Qui c’è tutta l’essenza della montagna ma, proprio perché “essenza”, è un’identità globale e al globale la mente e l’occhio dell’uomo pervengono attraverso intuizioni e sintesi su oggetti-aspetti-momenti specifici e definiti – si legge -. La fotografia è capace di fornire questo materiale, che alimenta l’osservazione, fa lavorare la mente, agita sentimenti, suscita emozioni, attiva propositi di impegno». Sta qui lo scopo di queste pagine che riguardano volti e immagini di un ampio territorio montano quale è quello delle Orobie valtellinesi, dentro il quale si ritaglia Piateda, con le sue pianure, i suoi versanti e le sue valli. Dentro questi «ingredienti tipici della montagna» - acqua, sole, erba, bosco, scoscendimenti ampi orizzonti», l’uomo ha messo il suo respiro, per secoli con costanza, con fiducia, mescolando gioie e dolori, illusioni e soddisfazioni. Ma, poi, il progresso e la civiltà l’hanno portato su movimenti sociali, nuovi assetti dell’economia umana e familiare. E quella montagna, abbandonata dall’uomo, si è costruita nicchie dove mettere - quasi per conservarlo - proprio quel “respiro dell’uomo e delle sue cose”.

Una patria comune

«Le fotografie di Pietro Redaelli hanno il pregio e la funzione di accostarci a quel distintivo attaccamento al semplice, al rustico, al rudimentale che viene dalla montagna e che è in noi quasi patrimonio ancestrale – prosegue la presentazione -. E quindi vogliono risvegliarla quella remota patria comune, alla quale è come se tutti avessimo appartenuto. Le fotografie di Redaelli vogliono spronarci a farlo rivivere quel patrimonio ancestrale, itinerario fitto di cose trascorse, documenti autentici di vita vissuta. Farlo rivivere come cosa della giornata, come aria che si respira e renderlo fruibile e farlo fruttare».

Le fotografie rappresentano la testimonianza preziosa di un mondo che purtroppo con il passare degli anni tende sempre più a scomparire, schiacciato da una civiltà che, per conservare la sua stessa natura, impone ritmi di vita che non lasciano spazio a quelle attività che non consentono una produttività elevata a basso costo. Un sistema che ha la sua piena manifestazione in quelle particolari attività che caratterizzano la vita dell’alpeggio: uno dei momenti tipici della vita contadina che, negli anni, ha subito notevoli evoluzioni, ma che conserva tuttora una sua tipicità. Mantiene tuttora aspetti caratterizzanti e il fatto di considerarli, come fanno le fotografie vere protagoniste di questo libro, permette di ricavarne quel quadro più generale che dà un’idea compiuta dalla tradizione orobica. Le fotografie raccontano anche la vita sull’alpeggio legata a fragili equilibri e agli imprevisti che potevano sorgere. Numerosi erano gli strumenti utilizzati per svolgere le attività; alcuni di essi sono riprodotti nelle fotografie, in particolare quello più importante, il cosiddetto “penàc’” (zangola) che veniva impiegato per la produzione del burro.

La bellezza degli scatti

La pubblicazione «segue la scia del progetto di recupero delle nostre radici, della nostra storia e delle nostre peculiarità - motivazione alla base anche di altre pubblicazioni da noi curate – e, considerato l’esaurimento delle copie del testo, l’amministrazione comunale, in collaborazione con il gruppo Officina delle idee e biblioteca, ha deciso di rieditare questo libro – conclude l’assessore Simonini -. Le fotografie hanno anche un valore dal punto di vista esclusivamente estetico e possono essere apprezzate per la loro bellezza, per il fascino che questi paesaggi evocano semplicemente osservandoli: freschezza e incanto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA