Dacia maraini
«odiavo manzoni»

La scrittrice sabato a teatro a Lecco riceverà il Premio alla carriera

«A scuola costretta a studiarlo, poi l’ho riscoperto e amato molto»

La cerimonia di assegnazione del Premio Manzoni alla carriera 2016, promosso da 50&Più Confcommercio Lecco, si terrà sabato 19 novembre alle 21 al Teatro della Società a Lecco. Riceverà il prestigioso riconoscimento, la scrittrice Dacia Maraini, che proprio oggi compie 80 anni. La scrittrice verrà intervistata da Luigi Mascheroni, giornalista e docente di Teoria e tecnica dell’informazione culturale all’Università Cattolica di Milano, componente della Giuria tecnica del Premio, presieduta da Ermanno Paccagnini. Con lui a chiacchierare con la protagonista ci sarà Vittorio Colombo, responsabile dell’edizione di Lecco de “La Provincia” e coordinatore del Premio Manzoni.

Dacia Maraini rappresenta una voce di rilievo della nostra letteratura, oltre ad essere una intellettuale che ha sempre fatto dell’impegno civile uno dei suoi tratti caratteristici. Nasce a Fiesole da due genitori non comuni. La madre Topazia appartiene ad un’antica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta. Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino, è stato un grande etnologo ed un autore di numerosi libri sul Tibet e sull’Estremo Oriente.

La famiglia Maraini si trasferisce in Giappone nel 1938 poiché il padre portava avanti uno studio sugli Hainu, una popolazione in via di estinzione stanziata nell’Hokkaido. Nel 1943 il governo giapponese, in base al patto d’alleanza che aveva stipulato con Italia e Germania, chiede ai coniugi Maraini di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Poiché i due si rifiutano, vengono internati insieme alle tre figlie in un campo di concentramento a Tokyo.

Lì patiscono la fame per due anni e vengono liberati dagli americani, soltanto a guerra finita. Rientrati in Italia, i Maraini si trasferiscono in Sicilia, presso i nonni materni, nella villa Valguarnera di Bagheria, dove le bambine cominciano gli studi. C’è, poi, la separazione dei genitori, il primo apprendistato letterario della Maraini e la sua “fuga” a Roma, dove raggiunge il padre. Nel 1962 la scrittrice pubblica il suo primo romanzo, “La vacanza” ed inizia il suo rapporto sentimentale con Alberto Moravia. Tra i suoi romanzi più noti ricordiamo “La lunga vita di Marianna Ucria”, “Bagheria”, “Cercando Emma” e l’ultimo “La bambina e il sognatore”.

La scrittrice era già stata a Lecco nel marzo del 2011, in occasione della rassegna Leggermente, per presentare il suo libro, “La seduzione dell’altrove” (Rizzoli). Ora tornerà nella nostra città per ritirare un premio intitolato allo scrittore dei Promessi Sposi.

«E’ sicuramente un onore - ci dice – vedersi assegnato un premio alla carriera che porta il nome di Manzoni. Con tanti premi dai nomi improbabili, questo si rifà ad un grande della nostra letteratura ed è un particolare certamente importante».

Eppure, come per tanti altri, il primo approccio con l’opera dello scrittore milanese, per la Maraini non fu per niente positivo:

«Sono sincera, a scuola Manzoni l’ho odiato. Mi hanno costretto a studiarlo nel modo più sbagliato possibile. Ricordo ancora con tristezza l’obbligo di imparare dei brani del romanzo a memoria o altre torture del genere. Insomma, l’ho vissuto come qualcosa di imposto e questo per un giovane non è certo un buon inizio. Potrei dire che hanno fatto di tutto per farmelo andare di traverso». Poi le cose sono cambiate, ma molti anni dopo: «Avevo trent’anni quando ho cominciato ad occuparmi di scrittura ed a tenere dei corsi. Allora mi sono riletta i classici della nostra letteratura come Boccaccio, Verga e, appunto, Manzoni. E’ in quel periodo che l’ho riscoperto e sulle rovine lasciate dalla scuola ho imparato ad amarlo. Ricordo ancora con piacere la lettura di un libro come “La famiglia Manzoni” di Natalia Ginzburg o la figura di Giulia Beccaria, la mamma di Alessandro, una donna straordinaria, lontana dal bigottismo dei suoi tempi». L’anelito civile del Manzoni non poteva non interessare Dacia Maraini, che proprio in un articolo di qualche anno fa contro il fanatismo religioso citava proprio l’autore dei Promessi Sposi. E poi ci sono le donne che tanta parte hanno nel romanzo: «Manzoni rappresenta con precisone la realtà dell’universo femminile. Nella monaca di Monza descrive la condizione di una donna costretta a vestire l’abito monacale, con tutte le conseguenze che sappiamo; ma anche con Lucia traccia bene la fotografia di un personaggio fedelissimo ai suoi tempi. Manzoni fu un grande realista».

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