C’è’ Il palazzetto besta da votare per il Fai

Anche l’edificio di Bianzone nella selezione di luoghi del cuore selezionati Esempio di dimora nobiliare alpina rinascimentale. Dentro affreschi preziosi

C’è tempo fino a dicembre per votare il palazzetto Besta di Bianzone come uno de “I luoghi del cuore Fai”. Parliamo della campagna nazionale per i luoghi italiani da non dimenticare, promossa dal Fondo per l’ambiente italiano. Il censimento biennale è il più importante progetto italiano di sensibilizzazione sul valore del patrimonio che permette ai cittadini di segnalare al Fai i luoghi da non dimenticare.

Il censimento

Dopo il censimento la Fondazione sostiene una selezione di progetti promossi dai territori a favore dei luoghi che hanno raggiunto una soglia minima di voti. Nel caso della dimora di Bianzone c’è bisogno che la gente sappia che è candidata e che può essere votata, visto che attualmente si piazza all’871esimo posto con poco più di una sessantina di voti. Per poter esprimere la propria preferenza basta farlo on line collegandosi a questo indirizzo: https://fondoambiente.it/luoghi/palazzo-besta-bianzone?ldc.

Il palazzetto Besta di Bianzone, immerso nelle sua silenziosa decadenza, si presenta come esempio di dimora nobiliare alpina rinascimentale. Circondato da due ettari di terreno, ha conservato i suoi tratti originari con i suoi snelli comignoli, le lunette del cornicione di gronda, le simmetriche aperture contornate di pietra verde e la colombaia ai margini della proprietà, anch’essa con affreschi e decorazioni documentando quello che un tempo, doveva sembrare uno splendore irraggiungibile in contrasto con la povertà dei contadini. Varcando il cancello che dà sulla via Algherone, si entra nel cortile dal quale si riconosce la caratteristica forma a “U” della pianta del palazzo di matrice medioevale. Il corpo di fabbrica trasversale, immediatamente di fronte all’ingresso, presenta al piano terra una nicchia affrescata, anch’essa in stato di avanzato degrado. Il pozzo marmoreo esagonale che si trova all’interno e che potrebbe risalire al ‘700, doveva essere in passato di grande effetto. Al primo piano, si trova un interessante loggiato, costituito da cinque campate con archi a tutto sesto impostati su pilastrini in pietra verde di Tresivio, e da una struttura orizzontale con volte a crociera, sormontato da una torretta con orologio coronata da un cupolino barocco che domina il cortile sottostante. A sinistra, si staglia il corpo principale del fabbricato. Di forma rettangolare (i lati sono di circa 32 per 20 metri), con l’ingresso sul lato maggiore rivolto a mezzogiorno, questa parte dell’edificio è costituita da murature in pietra intonacate e si sviluppa su tre piani, oltre alle cantine. Entrando dal portone del corpo principale del palazzo, ci si imbatte in una ripida scala, con una graziosa volta affrescata a grottesche che conduce ai piani superiori. A sinistra della scala, l’ingresso in una cucina con una particolare volta a ombrello e un grande camino. Adiacente, un piccolo locale foderato di legno. Ancora al pian terreno, i vani ricavati dalla chiusura del porticato ospitavano l’antico torchio e altri attrezzi agricoli.

La sala da pranzo

Al primo piano, si trova il salone principale. Rettangolare, di circa 4 per 8 metri, illuminato da tre ampie finestre sul lato di mezzogiorno che danno sul cortile, ricorda, con la sua volta ad “ali di pipistrello”, la sala da pranzo del palazzo Besta di Teglio. Sulla volta sono raffigurati alcuni episodi della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Il secondo piano, dissestato gravemente, ha vani con pregevoli soffitti a cassettoni, mentre il piano cantinato è a volte. Il tetto a due falde e a padiglione, recentemente restaurato, con la struttura in legno e un manto di copertura in ardesia, ostenta i caratteristici comignoli a torretta sagomata propri dell’epoca oltre che dell’architettura valligiana. Meno rilevante è invece il basso edificio ad uso agricolo, costruito nel XIX secolo, che prolunga il corpo di fabbrica del lato a sud. Lontane sono le origini di questo palazzo, legate - pare - alla presenza in epoca tardo-romana di un mansum, cioè l’appezzamento coltivato da una famiglia con un paio di buoi e un aratro, con relativa abitazione per i coloni, stalla e deposito per attrezzi e prodotti. In epoca feudale la proprietà si arricchì sicuramente di vari altri fondi, dando origine ad una curtis, la tipica organizzazione economica rurale del Medioevo, con una parte della terra fatta lavorare direttamente dal signore feudale - la così detta pars dominica - e un’altra - la pars massaricia - data in uso ai contadini della zona, dietro il versamento di un canone in natura o in denaro. Da questo nacque l’odioso livello, assillo dei nostri nonni, cioè la tassa ritenuta da molti ingiusta, gravante sul fondo considerato ormai di proprietà, da corrispondere a una famiglia nobile o borghese del luogo, che aveva ereditato diritti su quella terra vecchi di secoli, risalenti al Medioevo.

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