Bertacchi e Carducci, l’incontro a madesimo

Il primo aveva solo 19 anni chiamava Maestro il poeta già 53enne come racconta nei suoi scritti

Quando Giovanni Bertacchi, diciannovenne, aveva appena dato alle stampe la sua prima raccolta di poesie, Giosuè Carducci per la prima volta arrivava a Madesimo per passare l’estate. E così farà per altre quindici, tra il 1888 e il 1905. L’incontro del giovane chiavennasco con il vate d’Italia avvenne proprio a quel suo primo arrivo a Madesimo, come Bertacchi scriverà il 7 marzo 1907 su “Avanti della domenica”, il settimanale del Partito Socialista italiano: «Ricordo sempre quella limpida sera di luglio del 1888 quando, salito a Madesimo dopo le ansie e le fatiche della licenza liceale, vidi la prima volta Giosuè Carducci».

Una via intitolata a Giosuè

«Ricorreva appunto il suo [53°] compleanno e una folla di villeggianti, convenuta nel salone dell’albergo della Cascata, circondava festosa l’ospite illustre, che io potei travedere fuggevolmente, non senza un intimo moto di riverente esultanza. […] Egli alterna le cure della giornata fra la Villa Adele, dove alloggia, e l’albergo dove, all’ora dei pasti, egli siede da anni sempre a quel medesimo posto. […]. E fu un istante commovente quello in cui il Poeta, ritornando alla Villa Adele per la solita via tra i prati, seppe che da quel giorno la via si sarebbe denominata da lui. […] Una volta lo vidi, il Poeta, col suo grande cappello di panno chiaro, lassù, presso la chiesetta di Motta, seduto a una lunga tavola improvvisata».

Per la precisione, annotò che la strada centrale di Madesimo gli sarà intitolata ufficialmente solo nel 1950.

Quello stesso 1907 Bertacchi era stato più volte chiamato a ricordare il poeta versiliese: all’Università popolare di Milano pochi giorni dopo la morte, poi a Sondrio e il 6 maggio al teatro municipale di Modena, discorso quest’ultimo dato alle stampe con il titolo “Per il poeta della terza Italia”.

Riprese l’argomento nel febbraio del 1935 su “Alba serena”, la rivista dell’Istituto dei ciechi di Milano, in un articolo dal titolo “Come ho conosciuto Carducci”, da cui stralcio qualche passo. «Era bassotto e tarchiato, con grossa testa ben chiomata, già biancicante di brine. Una domenica dell’agosto salirono a Madesimo tre o quattro valentuomini chiavennaschi, di fede repubblicana, che redigevano un giornaletto simpaticamente pugnace, l’Alpe Retica, dal quale avevano segnalata la venuta del Carducci». Bertacchi si lasciò convincere a seguirli per una visita al poeta.

«Durante il non lungo colloquio notai del Maestro la pronuncia piuttosto rapida, un po’ a scatti, quasi ingarbugliata, come se la lingua gli incespicasse nei denti. Da quel giorno, pur girandogli quasi sempre alla larga, anche per un certo rispetto della sua desiderata solitudine, ebbi più d’una occasione di avvicinarlo e di parlargli. Una volta mi domandò de’ miei studi, a che facoltà intendessi di iscrivermi; e avendogli alcune pie signore parlato, a mia insaputa, di me e di qualche mio buon successo scolastico, per interessarlo ai casi miei, volle che io gli trascrivessi il componimento da me steso per la licenza liceale; richiesta che mi piacque e alla quale acconsentii. Avendo anche in quell’anno composte alcune modeste poesie, che un amico tipografo di Chiavenna mi incitava a mostrargli, per averne qualche buona parola, posso dire, a mio onore, che non ne volli sapere». Allude a “Poesie”, uscito con lo pseudonimo di Ovidius nel 1888 a Chiavenna dalla tipografia di Giovanni Ogna. «Per oltre due lustri – continua Bertacchi – non gli vidi che un unico abito, di un grigio chiaro ben resistente. […] Sapor d’agrume dové egli trovar pel suo gusto quando uno scolaro di ginnasio, Federico Azzoni lecchese, oggi mio fraterno amico […], scalzo e riarso come un pastorello, al Poeta che, sbandato dietro una comitiva, gli chiese: - Dove sono iti i cavalcanti? –, facendo atto di ricompensarlo, rintuzzò l’offerta, declamando, non senza un moto d’orgoglio: - Su le dentate scintillanti vette …». Il vate, che in gergo inopportunamente ricercato chiedeva semplicemente dove fossero i gitanti, mai più avrebbe pensato di sentirsi rispondere da un pastorello con il primo verso della sua ode Piemonte.

Questa citazione offre a Bertacchi lo spunto per un suo giudizio sintetico sulle tre poesie da Carducci dedicate alla valle: «Le vette dell’ode carducciana, ricantata da quel bruscolo al Carducci, non sono quelle che incoronano la soletta Madesimo. Questa non ebbe da lui che un mediocre sonetto [Sant’Abbondio], mentre la Rezia patriottica gli ispirava la robusta e agile alcaica A una bottiglia di Valtellina e la piana di Montespluga riviveva più tardi, per lui, in una elegia condensa di motivi mitici, paesistici, appassionati e ironici, d’un colore degno di Heine [Elegia del Monte Spluga]. Ora un lago creato dall’uomo si stende in livido bacino, che fluttua e trascolora al mutevole gioco della luce, dove prima spaziava il malinconico pianoro, solcato dal pigro corso del Liro nascente e dalle altre scarse acque colanti dai vicini ghiacciai. Scomparsi i cavalli, che il Poeta vide passare lassù; spenti, come sommersi nelle acque, i tintinni degli armenti, a cui solo rifugio si apre ora, da ovest, la profonda val Loga. […] Il Carducci degli ultimissimi anni, pure tornando lassù per salute, non fu più l’ospite gagliardo e alacre. […] Tale lo vidi e salutai l’ultima volta, nel 1905, alla stazione di Chiavenna, in partenza per la sua Bologna. Lo spirito ancor vivo balenava dagli occhi, da quegli occhi così irrequieti e guizzanti, mentre la parola gli usciva strascicata e impedita. Mi parlò benevolo, per poco, anche di qualche cosa mia ch’io non credevo dovesse conoscere, intenerendomi, come accade a ogni giovine, di gratitudine in cuore la triste solennità di quel commiato».

Le vie d’Italia

Scrivendone su “Le vie d’Italia” dell’agosto sempre del 1935 Bertacchi aggiunse un altro ricordo legato a Madesimo: «Un anno in cui il Poeta vi si era attardato fino a settembre inoltrato, lo vidi entrare nella sala dov’era acceso il fuoco, e sedervisi innanzi, a rifarsi dell’umidore di fuori. – È qui per la caccia? – mi chiese. Risposi un solo no, senza saper aggiungere parola. Egli si raccolse in sé e sgranò una serie di bu … bu … bu. Schema inarticolato di chi sa qual nuovo pensiero, di chi sa qual vecchio ricordo, mentre io, stimolato da una improvvisa analogia di cose e di imagini, inconsciamente recitavo a me stesso: La nebbia agli irti colli / piovigginando sale …», i primi due versi di San Martino, la nota poesia carducciana.

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