Da Wikileaks alla certezza del male minore

Wikileaks sta inguaiando le diplomazie mondiali e crea rischi non indifferenti alla sicurezza internazionale. È un dato oggettivo e indiscutibile. Eppure in Italia c'è chi coglie la circostanza solo per mettere sotto accusa il Berlusconi “privato”. Un autolesionismo incredibile.

Paolo di Benedetto


Preso atto che per ora le news di Wiki provengono da informatori che nei nostri giornali non troverebbero posto neppure come cronisti di gossip, e messa da parte la questione Berlusconi, perché francamente e ormai non ce ne potrebbe importare di meno del Berlusconi privé, veniamo al punto che più c'interessa: è giusto pubblicare quel che Julian Assange pubblica su internet e quel che i giornali di tutto il mondo stanno pubblicando? Se ci fermassimo alla riga che sta sotto la testata del più autorevole, forse, di questi, e cioè il New York Times, il problema potrebbe dirsi risolto. Questa riga dice infatti: tutte le notizie che vale la pena di pubblicare. E se le notizie di Wikileaks sono quelle finora apprese, dobbiamo concludere che non valeva e non vale la pena di pubblicarle. Ma proprio la concorrenza di internet sta ormai imponendo ai giornali, NYT in testa, una scelta diversa: pubblicare tutto. Praticamente tutto. Per non farsi bruciare dalla concorrenza, e non interessa la credibilità della concorrenza. I cinque giornali (oltre al NYT, l'inglese Guardian, il francese Le Monde, il tedesco Der Spiegel, lospagnolo El Paìs) cui Assange ha concesso l'esclusiva mondiale delle notizie contenute nei dossier americani, non si sono chiesti se pubblicare o no. Si sono chiesti quali documenti rendere noti, e con quale concerto di tempi, modalità e omissioni da introdurre. Omissioni concordate con il Dipartimento di Stato. La politica ha insomma dovuto inchinarsi al male minore e la libertà di stampa anche. Nel senso che ha salvaguardato le sue prerogative, pur accettando un condizionamento. Ma allora, si può ancora definire, questa, libertà di stampa? E, tornando al NYT, ne valeva la pena d'esercitarla in tale versione, mettendo a repentaglio consolidate relazioni internazionali? Gli americani e gl'inglesi dicono di sì, i francesi, i tedeschi e gli spagnoli manifestano dei dubbi. Però si adeguano. Alla fine vince l'idea che la libertà di stampa, anche nel peggiore dei casi, è una maledizione benedetta. E che, come sosteneva il presidente americano Jefferson, è preferibile un Paese con i giornali e senza un governo a un Paese senza i giornali e con un governo. L'Italia i giornali li ha, la libertà di stampa anche. E, tutto sommato, siamo contenti così.

Max Lodi

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