I democratici e la vocazione alla sconfitta

La sconfitta del candidato del Partito democratico alle primarie di Milano e le conseguenti dimisssioni di Penati dalla segreteria di Bersani confermano la crisi profonda del maggior partito d'opposizione. Sembra ormai che tutte le volte che il Pd indica un suo candidato, la sconfitta sia inevitabile. Eppure il Pd credo che non sbagli nell'intepretazione dello scontento che circola tra gli italiani, dunque non riesco a spiegarmi il motivo del rifiuto opposto ai suoi candidati. E' vero che i democratici non hanno dato prova di lungimiranza dividendosi spesso al loro interno, però questo non basta a spiegare ciò che è ripetutamente accaduto. Il Pd sconta la conseguenza, come dicono alcuni, d'essere il frutto di una fusione a freddo? Cioè in fondo di non essere un partito con una sua riconoscibile specificità?

Gino Canali

Forse il Pd paga anche questo. Paga il fatto d'essere un collage tra ex democristiani ed ex comunisti, tra laici di diversa provenienza, tra anime differenti della società civile. Forse paga il fatto di non avere azzeccato, in ormai numerose circostanze, i candidati giusti. Forse paga le liti (mica solo le contrapposizioni) scoppiate tra i suoi leader. Forse paga l'inclinazione insopprimibile a far del male al suo segretario, chiunque incarni il ruolo del segretario. E dunque a farsi del male. L'affondamento di Veltroni dopo che Veltroni aveva condotto il partito -un partito appena nato- a un ottimo 34 per cento di consensi alle ultime elezioni, è chiaramente esemplificativo: oggi i sondaggi danno i democratici attorno al 24. Forse il Pd ha paura, troppa paura. Ha paura di raccogliere le spinte verso il nuovo e dunque a candidare chi del nuovo è il più affidabile rappresentante. Vendola venne demonizzato, Renzi lo è, per non parlare di Cacciari e d'altri: o fuorusciti o con l'intenzione di diventarlo. Il Pd dovrebbe imparare a osare di più, a rischiare, a credere per davvero nella rivoluzione. La rivoluzione degli uomini disposti a spendersi nelle sue file. La rivoluzione del sogno. La rivoluzione, ma sì, dell'utopia. Senza sogno e utopia è difficile cambiare la realtà. Anzi, è impossibile. Senza sogno e utopia si rimane ancorati al conservatorismo, si concede poco o nulla alla speranza, ci s'intristisce rendendo ancora più tristi quelli che hanno ottime ragioni di mestizia. Insomma: le sfide al futuro si lanciano credendo sul serio nelle sfide e nel futuro. E ci vogliono i temerari giusti per dimostrare che una scelta apparentemente sbagliata si rivela nei fatti d'esito opposto. Ma il Pd i temerari li allontana, invece d'arruolarli.

Max Lodi

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