Circeo/ Gianni Guido non è più pericoloso per la giustizia

Circeo/ Gianni Guido non è più pericoloso per la giustizia Il massacro e la vicenda giudiziaria

Roma, 29 set. (Apcom) - Il 10 gennaio prossimo compirà 54 anni. Quasi certamente continuerà a vivere nell'appartamento di famiglia, nel quartiere Trieste, a Roma, ed a collaborare con associazioni del terzo settore e forte della laurea in lettere, facendo traduzioni di testi sacri in spagnolo. Entro breve andrà in vacanza, casomai all'estero. Non appena gli verrà riconsegnato il passaporto. Il futuro prossimo di Giovanni 'Gianni' Guido è questo. Lui, per i libri di storia e di cronaca resterà sempre uno dei tre ragazzi con la faccia d'angelo e il portafoglio pieno che massacrarono due ragazze in una villa di San Felice Circeo. Insieme a lui c'erano Andrea Ghira e Angelo Izzo.Il sangue, il dolore, il sadismo, andarono avanti dal 29 settembre al primo ottobre del 1975. Le vittime era due amiche, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti. Con un pretesto furono invitate, portate lontano da casa, poi minacciate con una pistola e torturate fino a quando qualcuno, tra Ghira e Izzo, in particolare, aveva voglia. Guido, però, nel frattempo, diligente, andava a cena con papà e mamma, faceva la solita vita all'apparenza. Lungo la Pontina, dentro l'auto dei genitori, assumeva il ruolo del carnefice. Rosaria, dopo esser stata alcune ore con Izzo, viene annegata in una vasca da bagno.Donatella simula di essere morta dopo un colpo di attizzatoio alla testa. Stava cercando di chiamare la polizia e venne colpita ancora e ancora. Ha la forza, la fortuna dei disperati, come scriveva Primo Levi, di chiudere gli occhi e aspettare. Si ritrova dentro il portabagagli di una 127 bianca, con accanto il corpo senza vita dell'amica. Sente dei rumori e urla, chiede aiuto. Arriva la polizia e i fotografi che stavano in Questura. Quello scatto, il volto ricoperto di sangue, gli occhi aperti e disperati, sarà sempre odiato da Donatella, e chiederà più volte di rimuovere dagli archivi quello e altri scatti. Lei li considerava ulteriori offese al suo diritto, alla sua libertà.Il processo di primo grado, a Latina, e poi quello d'appello, a Roma, daranno il via a tutta una serie di ricostruzioni sui casi di stupro, sul modo in cui i giudici e gli avvocati si confrontano con quello che allora era un reato contro la morale e non contro la persona. Il movimento femminista fa di quegli atteggiamenti, degli alibi e delle giustificazioni, le risposte dei mostri, come spiegò ad un giornale on-line, anni fa, il difensore della Colasanti, l'avvocato Tina Lagostena Bassi.Ghira, nel frattempo, era riuscito a fuggire in Spagna e ad arruolarsi nel Tercio (la Legione spagnola). Ufficialmente è morto con il falso nome di Massimo Testa de Andres nel 1994 per una overdose a Melilla, enclave spagnola in Africa. Malgrado l'identificazione del dna, le indagini conclusive della Procura di Roma, ancora molti sono coloro, che anche su internet, non credono che Ghira sia morto. Izzo, così come Ghira, è stato condannato all'ergastolo. Ma a differenza degli altri due, ha scontato molti anni dietro le sbarre. Molti più di Guido.Izzo, durante la detenzione, ha collaborato con diverse autorità giudiziarie, impegnate in inchieste sul terrorismo nero. Nell'aprile 2005, nonostante la condanna pendente, il tribunale di Velletri gli accordò la semilibertà. Ne approfittò per fare nuove vittime, moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo aveva conosciuto in carcere a Campobasso. Di recente è stato condannato ancora all'ergastolo per quel duplice, ultimo, omicidio.Donatella Colasanti è invece morta il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo. Rispetto a Guido il giudice di sorveglianza Enrico della Ratta Rinaldi ha stabilito che non deve essere sottoposto ad alcuna misura di sicurezza e può restare libero, senza restrizioni di sorta. "Si ritiene particolarmente improbabile che l'interessato si renda nuovamente autore di delitti: egli usufruisce di misure alternative a partire dal 2005, è completamente libero dal maggio del 2009, e ha tenuto una condotta ineccepibile. Il buon senso suggerisce che, in presenza di spinte devianti o criminogene, egli si sarebbe con ogni probabilità evidenziato negativamente nell'ambito dei notevoli spazi di libertà di cui ha usufruito negli ultimi quattro anni, ma ciò non è avvenuto".Della Ratta Rinaldi è nato a Napoli il 19 ottobre del '73. Da tutti è considerato un magistrato giusto, capace di ascoltare. Basta scorrere alcuni forum di associazioni che operano negli istituti di pena per averne prova. E' bastata la sua partecipazione ad un convegno per far capire che dentro quella toga c'è una persona e non solo il freddo rappresentante di una istituzione, di un potere dello Stato. Adesso, però, almeno per un po', a quelle considerazioni positive, si aggiungeranno quelle dovute alla decisione ultima sulla completa remissione in libertà di Guido.Sul carattere del 'bel Gianni', evaso nell'81 e per tanti anni latitante, prima in Argentina e poi a Panama, ed in cella dal '94, il giudice Rinaldi scrive parole chiare. Sulla base delle relazioni degli psicologi spiega che Guido "non era affetto da alcuna particolare patologia psichiatrica tale da indurlo a commettere omicidi e violenze sessuali, come comprovato dalla giovane età alla data di commissione del reato e dal suo comportamento ineccepibile durante la latitanza, e che pertanto andava già allora esclusa ogni pericolosità sociale. Il reato commesso ha costituito, invece - sottolinea della Ratta Rinaldi - per Guido un evento che ha radicalmente modificato l'evoluzione della sua personalità, contribuendo a orientarla verso la riflessività la consapevolezza della complessità, la ricostruzione etica e rendendola attraversata dal tormento e dal rimorso per il crimine commesso".

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