Ecco "The Resistance" dei Muse
Un successo che parte dal lago

Era un disco atteso, senza dubbio, questo quinto lavoro dei Muse. Soprattutto, per le voci che ventilavano in scaletta una vera suite sinfonica, fantomatiche sonorità elettroniche, accenni ai Queen, e la soprannaturale influenza del fantasma di Puccini nella stesura delle nuove canzoni

COMO Era un disco atteso, senza dubbio, questo quinto lavoro dei Muse. Atteso per le molte anticipazioni che nei mesi precedenti la pubblicazione si sono susseguite alimentando le chiacchiere sul taglio che lo stesso avrebbe avuto. Ma anche perplessità sulle voci che ventilavano in scaletta una vera suite sinfonica, fantomatiche sonorità elettroniche, accenni ai Queen, e la soprannaturale influenza del fantasma di Puccini nella stesura delle nuove canzoni, per non parlare del benefico effetto del Lago di Como (dove il disco è stato concepito e registrato) per la serenità dei membri della band in fase creativa. Tolto il velo dall’opera arrivano le conferme a quanto trapelato durante la lavorazione. “The Resistance”, esce in un momento speciale per il trio, ormai osannato protagonista della scena rock internazionale, e dimostra ancora una volta la singolarità di una formazione che, forte di una solida preparazione classica, non teme di mettere in mostra cervello e muscoli  realizzando un lavoro di pregio. Certo ad alcuni l’album, con le caratteristiche del concept, parrà a tratti ridondante e pomposo, ma bisogna riconoscere alla band la capacità di sperimentare, mantenendo una solida identità di fondo e la voglia di fare musica senza paura, seguendo istinto e passione al posto dei mutevoli trend da classifica. Si tratta di un disco che riesce a evidenziare in un sol colpo tutte le anime che abitano il corpo dei Muse, una summa di quanto il trio inglese ha costruito in questi anni fin dal fulminante esordio. A parte il singolo “Uprising”, che da qualche tempo regala il suo ritmo danzabile a tv musicali e radio, entrando subito in testa, tra i brani ci sono non pochi passaggi per cui apprezzare ancora una volta l’arte del genietto Matt Bellamy e dei suoi degni compari Chris Wolstenholme (basso) e Dominic Howard (batteria). “Resistance”, sorprende con una apertura figlia di certo elettropop ‘80, tra Pet Shop Boys degli esordi e Ultravox, prima di dare spazio alle chitarre che segnano immediatamente il territorio Muse. Atmosfere berlinesi pre caduta del muro e un caffè preso al banco con i Depeche Mode annunciano “Undisclosed desire”, fino all’esercizio di stile (che per le fonti letterarie rimanda all’Orwell di “1984”) suggerito da “United States of Eurasia”. La traccia, pervasa da un sapore da rock operistico che nei cori non nasconde un richiamo ai Queen ( siamo dalle parti di “Bohemian Rhapsody”), si avvale di sonorità mediorientali fino alla coda, “collateral damage”, dalla quale emerge la catarsi del “Notturno op.9 n.2” di Chopin. Da questo punto in poi, classica, rock, elettronica e musica operistica si fondono in un ardito disegno che esalta l’abilità e la poliedricità dei musicisti. Un organo da chiesa introduce “Unnatural selection”, uno dei pezzi più interessanti ed articolati, con una progressione robotica assimilabile all’incedere di certe composizioni marchiate Queens of the Stone Age e un intermezzo strumentale di chitarra quasi seventies. Sviluppo molto lirico per la romantica “I belong to you”, con inserti in francese e un  Bellamy solo vocale per ascoltatori raffinati, sull’onda di celebri arie operistiche. Infine, ecco la tanto annunciata sinfonia in tre parti: “Exogenesis”. L’ “Overture apre i quasi 13 minuti della composizione, dando sfogo alla musa del leader della band, qui si, in preda alle frequentazioni oniriche con i maestri del passato. Il secondo movimento, “Cross pollination”, occhieggia a Gershwin sulle note di uno struggente piano, fino alla deliziosa chiusura di “Redemption”.
Fabio Borghetti       

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