Miti: semplicemente «Michael»
«Jacko» tra dubbi e tradizione

Se quello che è arrivato nei negozi venerdì scorso fosse semplicemente il nuovo album di Michael Jackson, si sarebbe trattato, in ogni caso, di un evento: era assente da “Invincible” dell'ormai lontanissimo 2001

COMO Se quello che è arrivato nei negozi venerdì scorso fosse semplicemente il nuovo album di Michael Jackson si sarebbe trattato, in ogni caso, di un evento: era assente da “Invincible”, dell'ormai lontanissimo 2001. Avrebbe rilanciato la sua immagine con la lunga serie di concerti londinesi (che, sicuramente, avrebbero generato film, disco, di tutto di più) e poi avrebbe, finalmente, realizzato quello che aveva tutte le prospettive per essere l'album della maturità. Ma, ovviamente, quello che è arrivato nei negozi venerdì scorso non è semplicemente il nuovo album di Michael Jackson. I dischi normali, ad esempio, non sono accompagnati da una nota che garantisce l'autenticità dei brani con testimonianze di “sei dei produttori e tecnici del suono”, Greg Phillinganes “per 20 anni direttore musicale e pianista in molti dischi di Michael”, Dorian Holley “direttore delle voci di Michael”, tecnici del suono, produttori e musicisti, addirittura “due dei maggiori musicologi forensi” e “due personaggi di prim'ordine dell'industria discografica, che hanno avuto un ruolo determinante nella carriera di Michael”. Questo perché sono circolate illazioni (anche da parte di alcuni familiari) sull'autenticità di alcune registrazioni di “Michael”, questo il semplice titolo in contrasto con la complessa copertina, che incorona il compianto “king of pop” circondandolo di immagini che richiamano i vari periodi della sua carriera. Beh, ma alla fine com'è ‘sto disco? Intanto va subito detto che “funziona” proprio come disco in sé: dieci canzoni messe in sequenza con cura, una giusta alternanza di stili, forse senza un pezzo veramente memorabile o, forse, presto diventeranno tutti ugualmente memorabili nelle orecchie dei fan che sono i primi destinatari di questa operazione che sarà anche puramente commerciale ma è giustificata. Un po' di disappunto per l'iniziale “Hold my hand”: più che un duetto con Akon, come riportano le note, Jackson è un ospite di una canzone che somiglia non poco a “No woman no cry”.
Se l'effetto “batteria umana” era stato canticchiato da Michael per dare un'idea di quello che sarebbe dovuto essere il ritmo, è stata un'ottima decisione conservarla e farne l'elemento caratterizzante di “Hollywood tonight”.  “Keep your head up” è una classica ballata con finalone corale. Chi ama Jackson avrà i brividi lungo la schiena ascoltando l'incipit di “(I like) The way you love me” con la voce - la sua voce - che spiega come deve essere il pezzo che, poi, è delizioso. Meno interessante “Monster”, con 50 Cent impegnato nell'inevitabile rap. Le note ci informano che “Best of joy” era una delle ultime cose a cui Jackson stava lavorando: orecchiabile, molto piacevole. “Breaking news”, autoronica, è quella che ha scatenato la “caccia all'imitatore”. Potrebbe essere un capitolo della saga personale iniziata con “Billie Jean”. Lenny Kravitz si è ritrovato in rete un abbozzo della sua “(I can't make it) Another day”, offerta all'amico ai tempi di “Invincible” e mai finita, e ha deciso di completarla (con Dave Grohl dei Foo Fighters). Un buon mix degli stili di entrambi. “Behind the mask” è un “furto autorizzato” a Sakamoto: a Jackson piaceva l'omonimo strumentale della Yellow Magic Orchestra e ha chiesto di poterlo completare con un suo testo: permesso accordato. Chiude la delicata e strappalacrime “Much too soon” che risale addirittura ai tempi di “Thriller”. Ecco, “Michael” non è bello né importante come quel capolavoro, forse non dovrebbe neppure esistere (su questo milioni di ammiratori si sono divisi) ma già che esiste è bello poter dire che non è spregevole, che non aggiunge nulla alla leggenda di Jackson ma, sicuramente, non la intacca.
Alessio Brunialti

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