Revival: Dalla e De Gregori
non fanno più come i marinai

Il tour «Work in progress» è diventato un doppio album eponimo (disponibile anche con un dvd) che non testimonia un unico concerto ma una selezione di canzoni raccolte in più date. Ma sono lontani i tempi di «banana republic»...

COMO Saranno stati i soldi? Oppure un calcolo per rilanciare carriere sicuramente non spente ma neppure così brillanti come un tempo raddoppiando le potenzialità di entrambi?
Oppure la voglia, la pazzia, l'incoscienza e l'allegria di ritrovarsi dopo trent'anni e qualche spicciolo da una delle più celebri avventure live della storia della musica italiana?
Sia come sia, inevitabilmente, il tour “Work in progress” di Lucio Dalla e Francesco De Gregori è diventato un doppio album eponimo (disponibile anche con un dvd) che non testimonia un unico concerto ma una selezione di canzoni raccolte in più date. Liberiamoci subito dell'ingombrante confronto con “Banana republic”: non erano solo altri tempi ma sul palco c'erano altrui due artisti. Quasi timidi: il romano usciva dai suoi “anni di piombo”, quelli che lo avevano visto protagonista, anzi, vittima di uno degli episodi più emblematici di quella stagione ovvero il “processo” che gli intentarono gli autonomi al PalaLido di Milano impedendogli di cantare. Il compagno De Gregori - il “principe”, invece, per i colleghi che gli rinfacciavano il carattere un po' altezzoso - era troppo ricco e voleva troppi soldi per esibirsi. Il bivio del bolognese era, invece, prettamente artistico: era partito come interprete negli anni Sessanta, aveva iniziato a proporre le sue musiche per i testi di Paola Pallottino, Sergio Bardotti e Roberto Roversi.
Con “Com'è profondo il mare” aveva “osato” diventare poeta di se stesso, confortato sia dai risultati di critica che dal pubblico. Quindi eccoli partire “come fanno i marinai” intenti a traghettare la canzone d'autore negli anni Ottanta. De Gregori aveva già fatto “Rimmel”, “Bufalo Bill”, “Generale”, Dalla aveva dalla sua (perdonate il bisticcio) “4/3/1943”, “Piazza Grande”, “Futura”, “L'anno che verrà” e già infinite altre. Trent'anni dopo riecco il gigante e il nano (perdonate questo momento “politically incorrect” ma l'immagine è troppo calzante). Il principe si è ammorbidito e sembra divertito da questa collaborazione, l'ultima di tante visto che ha diviso la scena anche con Ron, Fiorella Mannoia e Pino Daniele, con Giovanna Marini per un'altra occasione oltre alla storica unione di “Theorius Campus” con Venditti.
Addirittura permette al pubblico di intonare i suoi brani: pazzesco per chi se lo ricorda strascinare il ritornello de “La leva calcistica della classe ‘68” per impedire, letteralmente, agli spettatori di seguirlo. Adesso, invece, c'è perfino il karaoke. Lucio si è un po' fossilizzato sull'immagine del pazzo geniale, dell'idiota savant che sbuffa nella campana del clarinetto per evocare il fischio del vapore del “Titanic”, che mima la sbandata controllata dell'Alfa Romeo di “Nuvolari”, insomma, che gigioneggia alla grande. Tutte cose, queste, che il disco senza immagini non rende: qui c'è solo la musica. In comune con il vecchio “Banana republic” ci sono solo “Santa Lucia”, “4/3/1943” e “Piazza Grande”. Nonostante le suppliche della gente “Ma come fanno i marinai?” non viene eseguita mentre spuntano inediti come “Non basta saper cantare” (discreta), “Gran turismo” (prescindibile) e una versione di “Solo un gigolò” (tremenda). Il momento più intenso, come accadeva nelle performance, si ha quando i due, ben consapevoli del calibro di entrambi i pezzi, eseguono in fila “La donna cannone” e “Caruso” anche se, potendo scegliere, il premio va a “L'abbigliamento di un fuochista”, una delle perle più commoventi e toccanti del fornito carnet di De Gregori. Di Dalla, che propone complessivamente meno titoli, piace sempre “Anna e Marco”, signorilmente condivisa con l'amico ritrovato.
Alessio Brunialti

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