Box: «Solo piano» o con Burton
il miglior Chick Corea dell'Ecm

«Solo Piano» raccoglie i due volumi delle «Piano Improvisations» del 1971 e il successivo «Children's Songs» del 1983. «Crystal Silence» contiene invece l'omonimo disco con Burton del 1972, le session di «Duet» ('78) e un interessante live del '79 a Zurigo con Gary Burton

COMO Chick Corea è personaggio controverso tra gli appassionati di jazz. Innegabile il talento, in molti gli hanno rimproverato qualche leggerezza di troppo nella sua camaleontica carriera. Che escano oggi due cofanetti riepilogativi per i tipi di Ecm, ponendo l'accento sul suo solo-piano e le collaborazioni in duo con il vibrafonista Gary Burton, aiuta a ristabilire un po' i pesi e le prospettive d'osservazione sul pianista. Soprattutto per chi, anagrafe o scelta, ha incrociato Corea in uno dei suoi ammiccamenti più disinvolti. «Solo Piano» raccoglie i due volumi delle «Piano Improvisations» del 1971 e il successivo «Children's Songs» del 1983. «Crystal Silence» contiene invece l'omonimo disco con Burton del 1972, le session che nel 1978 diedero vita a «Duet» e un interessante live che Chick Corea e Gary Burton tennero l'anno successivo a Zurigo.
Partiamo da «Solo Piano». Innanzitutto gli va riconosciuta una primigenitura: alla Ecm volevano rinverdire i fasti di un format (il recital in piano solo) nell'ambito della musica improvvisata, in un momento storico in cui per trovarne bisognava risalire alle prime forme di jazz, le correnti dello stride piano e consimili. Corea veniva da un quinquennio di carriera già abbastanza valido ma non era ancora un nome di grido. Aveva persino attraversato (da protagonista) la scena del jazz-rock: prima al fianco di Miles e poi con i suoi Return to forever. E fu il primo a raccogliere l'invito di Manfred Eicher, seguito a fine anno dal seminale «Facing You» di Keith Jarrett e poi da Paul Bley. Diversi momenti delle Piano Improvisations, in cui al di là del titolo compare una ragguardevole sintesi compositiva di Corea, diverranno con il tempo momenti celebri del suo repertorio: «Noon Song», «Song for Sally», o il jazz-waltz di «Song Of The Wind» in cui compare un accenno di swing. Ripresi e riletti in formazioni allargate. Stesso discorso per quel che riguarda i modelli di Bud Powell e Thelonious Monk (qui presente con «Trinkle Tinkle») che Corea saprà omaggiare sempre con garbo. Il tocco di Corea è già limpido cristallino, lo stile messo a punto e la capacità espressiva si bea di quella percussività che diverrà simbolo del pianista, nonostante richieda un'attenzione costante perché apparentemente celata da un'innata propensione alla melodia. Lo stesso spanish-tinge, croce e delizia dei suoi ascoltatori, comincia a prendere forme più concrete.
«Crystal Silence» pone invece l'accento sulla formula del duo, da Corea praticata con particolare frequenza (e varietà di compari) durante i quarant'anni di carriera. E quello con Burton è per molti aspetti il più riuscito. Anche qui storia e futuro giocarono un ruolo. Il duo spaventava, forse più per la scarsità di riferimenti validi che per il confronto con prestazioni epiche, mentre di lì in avanti Corea e Burton manterranno sempre un piede nella musica dell'altro, al punto da farli dichiarare che la premiata ditta non si è mai sciolta. E ancora oggi, infatti, non è difficile leggerne i nomi appaiati in qualche cartellone. Il più riuscito perché i due hanno saputo sfruttare magistralmente la stretta parentela tra i rispettivi strumenti: valorizzarla e farne uscire fuori un melange musicale che in molti momenti assume sembianze orchestrali. Evitato il «chi suona cosa» del duo pianistico, con il vibrafono le timbriche rimangono sempre ben definite, a beneficio degl'intrecci armonici e delle rispettive linee melodiche. Poi, su «Bud Powell» (il brano, in scaletta a Zurigo), i due si concedono persino momenti di swing infuocato. A conferma di come conoscere gli strumenti della tradizione e cercare nuove vie espressive non siano mai aspetti che si eludano a vicenda.
Andrea Di Gennaro

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