Il genio Sylvian non deborda
e così sforna un capolavoro 

Va accolto con particolare favore il fatto che Sylvian abbia recentemente raccolto le migliori di queste collaborazioni in un disco intitolato «Sleepwalkers»

COMO Ci sono vari tipi di immunità. C'è, per esempio, l'immunità parlamentare, la quale provoca talora discussioni molto accese che riempiono le pagine di cronaca politica, e poi c'è l'immunità musicale, che provoca discussioni e dibattiti senza dubbio meno fondamentali e meno decisivi rispetto a quelli intorno all'immunità parlamentare, ma non per questo meno accesi. L'immunità musicale è lo status del quale godono quegli artisti che dopo una lunga e gloriosa carriera possono permettersi di fare tutto, anche il disco più assurdo e strampalato, senza che nessuno osi avanzare la benché minima critica o riserva.
Tra i non pochi artisti che godono dell'immunità musicale un posto di assoluta preminenza è quello occupato da David Sylvian. Beninteso: la sua è un'immunità ben meritata, perché Sylvian -prima con l'indimenticabile e indimenticato gruppo dei Japan, e poi come solista- è stato uno degli artisti più originali e innovativi di questi ultimi trent'anni di musica rock, e la sua carriera è costellata di capolavori che hanno lasciato il segno e hanno profondamente influenzato intere legioni di giovani (e meno giovani) musicisti. E' altrettanto vero, però, che il 52enne Sylvian ha fatto un uso piuttosto disinvolto della propria immunità musicale, sfornando alcuni dischi francamente sconcertanti e quasi al limite della cacofonia, difficili da difendere anche per il più sfegatato e acritico dei fans. Risulta infatti pressoché inconcepibile che l'autore di dischi davvero "epocali" (l'aggettivo è abusato e gronda retorica, d'accordo, ma nel caso di Sylvian è l'aggettivo giusto) come Gone To Earth, Dead Bees On A Cake, Brilliant Trees e Secrets of the Beehive abbia poi dato alle stampe, in questo ultimo decennio, opere a dir poco discutibili come Camphor e soprattutto i più recenti Blesmish e Manafon, che non a caso hanno spiazzato e sconcertato davvero tutti, anche i critici più accondiscendenti e i fans potenzialmente disposti a perdonare tutto ma proprio tutto al proprio idolo.
Il Sylvian migliore di quest'ultimo decennio va quindi cercato non già nei dischi pubblicati in proprio, quanto piuttosto nelle collaborazioni con altri musicisti. Va quindi accolto con particolare favore il fatto che Sylvian abbia recentemente raccolto le migliori di queste collaborazioni in un disco intitolato Sleepwalkers. Le sedici tracce presentano alcune composizioni scritte per i Nine Horses con Burnt Friedman e il compagno di lunga data Steve Jansen, dove Sylvian si rivela quello che è sempre stato: uno sperimentatore eclettico e un musicista eternamente curioso. Ma in questo caso la sperimentazione e la curiosità rimangono circoscritte all'interno della tradizionale forma canzone, senza debordare in brani dalla lunghezza estenuante. Lo stesso discorso vale per i brani scritti insieme al vecchio sodale Ryuichi Sakamoto, e in particolare per la straordinaria World Citizen, uno di quei brani semplicemente perfetti ed elegantissimi che solo il genio di Sylvian riesce a creare. Meritano poi una menzione particolare Pure Genius (autocitazione compiaciuta e un po' ruffiana, ma Sylvian può permetterselo), scritta a quattro mani con Chris Vrenna dei Nine Inch Nails, e Sugar Fuel, con musiche scritte da Jean-Philippe Verdin. Forse l'autentica dimensione dell'ultracinquantenne Sylvian è questa, e Sleepwalker la restituisce come meglio non si potrebbe. Si può quindi parlare apertamente di "capolavoro", di "genio" e di "maestro" senza nemmeno ricorrere all'immunità musicale.
Mattia Mantovani    

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