Turismo culturale
l’occasione d’oro

Un’occasione d’oro per mettere a sistema il turismo culturale sul “massimo Lario”, che in ogni epoca ha trovato cantori vip, da Virgilio fino a Clooney. Quella che è saltata fuori dalle fondamenta del Cressoni lo è in senso così letterale, e pure luccicante, che ci auguriamo riesca nel miracolo di catalizzare l’attenzione e la buona volontà di tutti, in particolare dei tanti (ma molti meno di 10 anni fa) che ogni volta che si tratti di mettere testa, tempo, e magari anche risorse, sulla cultura, rispondono che le priorità sono altre. Per non dire di quegli altri (anche loro in calo, per fortuna), che vivono per la cultura e non mancano di sottolineare l’importanza di fare squadra, purché non sia con tizio, caio o sempronio... Dimenticando, forse, l’etimologia del termine cultura, dal latino “colere” (coltivare): la civiltà contadina ci insegna che, se non ci si dà una mano e degli obiettivi comuni tra “operatori dell’agricoltura”, difficilmente si riuscirà a rendere produttivo un terreno. Lo stesso vale per quelli culturali.

L’occasione è d’oro, non solo per il valore storico e materiale delle monete ritrovate, ma perché il luogo e il modo in cui sono state rinvenute ci ricorda la straordinaria possibilità che abbiamo a Como (e su tutto il lago e la Brianza) di raccontare ai nostri figli, allievi, amici, e ai turisti, un’infinità di storie stratificate l’una sull’altra quasi in ogni angolo del territorio e che, con un po’ di fantasia (ma soprattutto competenza) spesso si collegano con la grande storia del mondo e ci aiutano a farla nostra. Storie connesse a paesaggi naturali e urbani spesso di notevole bellezza, ché a promuovere le due cose insieme si forniscono infinite motivazioni ai forestieri per fermarsi sul Lario molto di più dei canonici due giorni e mezzo.

L’oro sepolto in via Diaz dal crepuscolo dell’impero romano, così pare da quanto appurato detto gli esperti fino ad ora, ci porta, scavando ancora un po’, alla città dei Plini, mentre salendo di strato, si arriva al Risorgimento delle Cinque giornate di Como, cui Cressoni partecipò attivamente, fino alla rinascita culturale post unitaria (il suo teatro è del 1870) e a interrogarci sul nostro domani. Meglio accumulare ricchezza, finita sottoterra al pari dei suoi possessori, o spendere tutti i denari faticosamente guadagnati prima da libraio e poi da impresario teatrale, come fece Cressoni, per diffondere cultura, e morire povero, mentre però nella sala di sotto la gente rideva per una commedia?

A rendere ancora più preziosa l’occasione sono le parole spese ieri dal ministro Alberto Bonisoli: «Per me questo è un caso più che eccezionale: è epocale, uno di quelli che segnano il percorso della storia. Non siamo ancora in grado di capirlo, ma è un messaggio che ci arriva dai nostri antenati». Ognuno, ovviamente, è libero di interpretare il messaggio come vuole. Bene, signor ministro, signor sindaco e autorità tutte, e se i nostri antenati ci stessero dicendo che, attorno a noi e sotto i nostri piedi, si celano mille validi motivi per costruire un comitato nazionale e locale fortissimi per le celebrazioni del bimillenario di Plinio il Vecchio (2023/24) e di farlo subito, intanto che i tempi sono sufficienti per lasciare alle future generazioni un’eredità che si avvicini a quella delle Voltiadi del ’27? Se serviva un pezzo da novanta che richiamasse l’attenzione del mondo (ieri anche della Cnn) ora l’abbiamo, e più sicuro del teschio pliniano che, trovato ai primi del ’900 sulla spiaggia di Stabia e ricomparso un anno fa in un museo di Roma, ha smesso di fare notizia, mentre Como non ha ancora trovato i 10mila euro che servivano per appurarne l’origine, in partenza dubbia visto che Plinio il Giovane scrisse a Tacito che tre giorni dopo l’eruzione del Vesuvio il cadavere dello zio era stato già ritrovato.

L’occasione è d’oro per rivisitare l’allestimento dei musei civici, in modo che sia capace di creare una connessione evidente con le mille storie e i mille luoghi, cui i reperti (e i quadri della Pinacoteca) rimandano. Una struttura, giuridica e organizzativa, riconosciuta a livello europeo, per far sì che, partendo dalla Como romana, si possa realizzare uno storytelling del territorio e dei personaggi che lo hanno vissuto fino ad oggi, integrando spazi pubblici e privati, è il Parco letterario dei Plini, che avevamo proposto lo scorso aprile da queste colonne, innescando una sinergia tra alcuni sodalizi cittadini intenzionati a realizzarlo: da Roma arriva il parere favorevole del presidente dei Parchi Letterari (domenica leggerete su L’Ordine un’intervista in cui rilancia proponendo un gemellaggio con l’area del Vesuvio) e da Bruxelles (dove l’Accademia Pliniana organizzerà un convegno a novembre) l’invito a costruirlo in modo che abbia i requisiti per essere inserito nel portale delle “cultural routes” (i percorsi culturali) di interesse europeo. Come hanno appena fatto Milano, Lecco e la Valchiavenna, cogliendo il 500° di Leonardo come occasione per portare a casa un finanziamento Interreg da 1,7 milioni di euro con cui mettere a sistema 300 chilometri di itinerario pedonali e ciclabili di ispirazione leonardesca, così il bimillenario pliniano potrebbe regalarci la Pliny’s Way, connettendo i percorsi che dalla Tremezzina, dove sorgeva la Villa Comedia di Plinio il Giovane, arrivano a Bellagio, sede della Tragedia, passando per Como. Guardando oltre i campanili, nell’ottica alla base dell’unificazione delle Camere di Commercio di Como e Lecco, i percorsi pliniano e leonardesco potrebbero incontrarsi in Brianza, tra Pusiano e Alserio, disegnati da Leonardo nella mappa dei laghi briantei contenuta nel Codice atlantico, e descritti da Plinio, come un unico grande bacino, nella Naturalis Historia. Il Lario dei Plini e di Leonardo è unico (basti pensare a Corenno Plinio nel Lecchese o all’orrido di Nesso studiato dal genio vinciano nel Comasco), non separiamo ciò che la natura e i grandi del passato hanno unito.

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