Profughi, la mamma
e il bimbo di un mese

«Vogliamo partire»

Quinta notte nel parco per il neonato. E la Questura trasferisce quaranta stranieri in Puglia

Ha solo un mese e mezzo e la sua casa, da cinque giorni, è il parco della stazione San Giovanni. Il piccolo eritreo è il più giovane tra i moltissimi profughi - un centinaio ieri pomeriggio, ma il numero ha raggiunto quota 200 nella notte di lunedì - che affollano lo scalo ferroviario cittadino in attesa di riuscire a varcare il confine con la Svizzera.

Il suo viaggio della speranza, questo piccolo che dorme in una culla donata da un generoso comasco e che è coccolato da tutta la comunità eritrea che condivide con lui la disperazione dell’attesa, l’ha iniziato in Libia quando aveva solo tre settimane di vita. La sua mamma, 19 anni, si è infatti imbarcata un mese fa dalla costa africana assieme al bimbo, al compagno e ad alcuni amici: cercavano una vita migliore, invece dopo 24 ore passate in mare e quattro tentativi falliti di attraversare la dogana, oggi si trova bloccata a Como. «Vogliamo partire».

Quello che accomuna questi profughi - quasi tutti eritrei ma anche gambiani e qualche somalo - è che non conoscono le regole che governano il diritto di asilo e non capiscono come mai non possano andare al nord. Per tutti la terra promessa è la Germania ma la Svizzera ha chiuso i confini e chiunque venga trovato privo di documenti viene rispedito in Italia.

Ieri pomeriggio almeno una 40ina di profughi sono stati riaccompagnati dalla polizia svizzera alla dogana di Ponte Chiasso e da lì fatti salire su un pullman diretto a Taranto.

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