Lecco: tutti meno ricchi
ma l'industria resiste

Ecco i dati presentati alla Giornata dell'Economia: molte ombre ma anche qualche luce. La ripresa definitiva soltanto nel 2013. La relazione del presidente della Camera di Commercio, Vico Valassi

Duemilatredici, questo sarà l'anno in cui il territorio potrà lasciarsi alle spalle la grande crisi del 2009. Frattanto il territorio non resta a guardare, ma si rende protagonista di un “miracolo economico” dove si lavora meno, ma si lavora tutti, come annunciato l'altra mattina dal ricercatore dell'Istituto Tagliacarne di Roma Giacomo Giusti, relatore dell'Ottava Giornata dell'Economia insieme al presidente della Camera di Commercio Vico Valassi.
Nel 2009 il Pil provinciale ha visto una contrazione dell'8% circa rispetto all'anno precedente. Una caduta più accentuata rispetto a quella registrata complessivamente in Italia (-5%) e in Lombardia (-5,2%). <Una caduta importante ma che deve essere letta in tutta la sua completezza, perché dietro a questo dato negativo si cela una grande virtuosità degli imprenditori lecchesi e una tenuta industriale che ha del miracoloso, specialmente se confrontata con le realtà industriali più simili al territorio>. Il territorio insomma, pur non essendo immune alla crisi, è stato dipinto quasi fosse un'isola felice: <Il numero di occupati nel 2009 è pari a 149,3 migliaia contro i 150,7 del 2008. Quindi sono stati persi 1.400 posti di lavoro, in particolare sono scomparsi 2.800 posti di lavoro nell'industria in senso stretto ma sono nate 1.400 nuove occasioni occupazionali nei servizi. In provincia di Lecco il tasso di occupazione è sceso di quasi 2 punti percentuali rispetto al 2008, attestandosi al 66% circa. Sono numeri con il segno negativo, è vero, ma in altri ambiti territoriali del Nord le cose sono andate decisamente peggio>. Ad esempio a Treviglio sono stati persi 23 mila posti di lavoro, a Varese 14 mila. In altre parole i datori di lavoro hanno usato massicciamente gli ammortizzatori sociali (più 1.323% cig, oltre 19 milioni e mezzo di ore con la provincia al secondo posto in Italia, seconda solo a Reggio Emilia come crescita nel ricorso a questo strumento), riducendo per tutti le ore di lavoro, senza tagliare l'occupazione – e perdere il valore aggiunto dell'esperienza della manodopera – o chiudere le imprese, come è avvenuto in altre aree industriali.

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