Como, profughi alla stazione
L’appello del vescovo
«Non lasciamoli soli»

Pubblichiamo integralmente l’intervento del vescovo Diego Coletti sul caso dei migranti nei parco della stazione San Giovanni

Pubblichiamo, integralmente, l’intervento del vescovo Diego Coletti sulla vicenda dei migranti nel parco della stazione San Giovanni. Un appello alle istituzioni ma anche alla comunità comasca. Il testo è stato diffuso dal canale Facebook de Il Settimanale della Diocesi.

«Nelle ultime settimane, presso la Stazione ferroviaria di Como-San Giovanni, si è venuta a creare una particolare situazione: la presenza di numerose persone originarie dell’Africa (con una significativa maggioranza da Somalia, Eritrea, Gambia, più altre nazionalità in ordine sparso) e dirette verso il Nord Europa, in particolare la Germania. I numeri sono molto variabili: in questi giorni, però, si è registrato un flusso in crescita costante. Si è così passati dagli iniziali 70-80 (scesi anche a 20) fino agli oltre 150 migranti di domenica e ai 200 di inizio settimana. Colpisce la loro giovane età: alcuni sono poco più che bambini, ma ci sono anche famiglie, donne in stato di gravidanza (talune sole) e mamme con neonati di pochi mesi. Sono giunti a Como dopo aver lasciato i centri di accoglienza italiani in cui erano ospitati: il loro obiettivo è attraversare la Svizzera le cui autorità, in mancanza di documenti regolari o di una formale richiesta di asilo, procedono con la riammissione in Italia di coloro che si trovano sul territorio della Confederazione.

È una realtà molto complessa. Un fenomeno di cui non è al momento possibile ipotizzare il successivo sviluppo.

La comunità diocesana, attraverso l’impegno della Caritas e della rete di associazioni ad essa collegata (insieme ad altre espressioni del volontariato cittadino), si è attivata in un intervento straordinario per venire incontro alle necessità primarie di chi sosta nell’area della stazione. Un ringraziamento particolare va a tutti gli operatori che, senza diminuire le attività ordinarie di aiuto ai casi di fragilità ed emarginazione già presenti in città, hanno lodevolmente moltiplicato gli sforzi (e diventa difficile pensare a un ulteriore aggravio di lavoro a loro carico). Importante anche l’attività di mediazione culturale e di approfondimento di legislazioni e contesti per comprendere quali strade intraprendere. Grande la generosità dimostrata da molte persone, soprattutto giovani, che spontaneamente si sono messe a disposizione per portare sostegno e conforto ai migranti.

Concretamente, come mi è stato indicato dagli operatori, fino a domenica 24 luglio, prosegue la raccolta di beni di prima necessità presso il Punto Unico della Croce Rossa Italiana, in via Italia Libera 11. Servono: biancheria intima; prodotti per l’igiene personale; cibo a lunga scadenza; vestiario (uomo, donna, bambino).

In questo Anno Santo della Misericordia sentiamo forte il richiamo di papa Francesco a essere Chiesa in uscita, che sa andare incontro alle periferie materiali ed esistenziali degli uomini e delle donne del nostro tempo. La Misericordia si declina non solo nelle opere spirituali, nell’essere perdonati e nel perdonare, ma anche nell’ascolto e nell’accoglienza, nel portare conforto attraverso le opere corporali (che, tra l’altro, contemplano proprio il dare da mangiare e da bere ad affamati e assetati e ospitare i viandanti…). Saper affrontare con intelligenza, buon senso e gran cuore questa “sfida” (più che emergenza) umanitaria, per la nostra Chiesa diocesana può diventare un’opera-simbolo del Giubileo, che è un tempo di grazia nel quale la preghiera non si esaurisce nella pur bella e partecipata celebrazione, ma sa tradursi in concreta testimonianza di Vangelo e sostegno all’agire quotidiano.

Tutti siamo chiamati a fare qualcosa, senza ingenuità, ma con senso di misericordiosa giustizia ed equità.

Un invito alle istituzioni: perché si superino le legittime incertezze e si affrontino i problemi, nel solco della correttezza e della legalità, nel rispetto delle competenze, delle professionalità e delle responsabilità di ciascuno.

Un invito alla società civile: perché non si disperdano le forze e le risorse, ma si operi insieme, in un coordinamento in cui ognuno può assolvere a un compito differente ma complementare.

Un invito alla comunità cristiana: perché si renda concreta la disponibilità all’accoglienza attraverso le persone, le strutture, la progettualità.

È un cammino di cui non si nascondono le difficoltà, ma che può essere per tutti un’occasione di crescita comune, di condivisione. Un sostegno a un’umanità affaticata e ferita che ci mette in discussione, di fronte a cambiamenti epocali che richiedono risposte dagli orizzonti ampi».

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