Caso Mingarelli
Il rifugista: «Io nel tritacarne,
ma ho detto tutto»

Dopo la richiesta di archiviazione, parla il rifugista dei Barchi, l’ultimo a vedere Mattia vivo

Giorgio Del Zoppo, 50 anni, di Chiesa in Valmalenco, non si dice né stupito né soddisfatto della richiesta di archiviazione dell’inchiesta sulla morte di Mattia Mingarelli, il trentenne di Albavilla scomparso l’8 dicembre 2018 dai Barchi di Chiesa e ritrovato cadavere, la vigilia di Natale, nei boschi della zona.

Del Zoppo è stato l’ultimo a vedere Mingarelli ancora vivo e per questo è stato coinvolto nell’inchiesta, quale “persona informata sui fatti”.

«No, non sono stupito della richiesta di archiviazione da parte della Procura - dice - perché in questo anno e mezzo non ho mai pensato a qualcosa di diverso, e non posso dirmi soddisfatto, perché non saprei di cosa dovrei esserlo. Da questa vicenda ho avuto solo danni e quello che dovevo dire l’ho detto subito ai carabinier

«Non sono stato a guardare dove andava Mingarelli, che neppure conoscevo - insiste Del Zoppo - è uscito e basta. Non mi sono accorto che stesse male, né che avesse perso il cellulare proprio lì, nei pressi del rifugio. Eppure, da allora, anche se non sono mai stato indagato, sono finito in una sorta di tritacarne. Rifugio sotto sequestro dall’oggi al domani, senza poter entrare neppure a chiudere l’acqua, proprio all’inizio della stagione invernale, sequestro dei cellulari e del computer, con tutti i numeri di telefono memorizzati, per cui sono rimasto tagliato fuori da tutto, e danni sopra danni all’immobile che ho potuto constatare quando me l’hanno dissequestrato, il 9 marzo 2019. Ho speso più di 80mila euro per rimetterlo in sesto»

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