«Io, lavoratore della Frisia
In crisi anche la mia vita»

«Si vive male, in questa situazione. E non è solo una questione di soldi, al centro c'è soprattutto la tranquillità di una vita...». C'è tanta amarezza nelle parole di Mirko Pedeferri. Operaio e dipendente della Frisia da quando ha finito di studiare, e a 26 anni si ritrova nel bel mezzo di una battaglia difficilissima

PIURO «Si vive male, in questa situazione. E non è solo una questione di soldi, al centro c'è soprattutto la tranquillità di una vita...».


C'è tanta amarezza nelle parole di Mirko Pedeferri. Operaio e dipendente della Frisia da quando ha finito di studiare, e a 26 anni si ritrova nel bel mezzo di una battaglia difficilissima. Lui di energia, sia fisica, sia mentale, ne avrebbe in quantità. Deve fare i conti con una malattia che lo costringe, ogni giorno, a correre e pedalare per un'ora e mezza, e non ha alcuna intenzione di fermarsi. Ma il caos della fabbrica di Piuro stavolta sembra davvero difficile da superare. Quando le condizioni meteorologiche lo consentono si presenta in fabbrica in sella alla sua mountain bike.


Parte da San Giacomo e dopo un paio di chilometri di discesa inizia la salita della Val Bregaglia. Sotto il casco e gli occhiali, insieme alla dignità di un ragazzo che non vuole mollare, c'è un volto carico di preoccupazione.


La stessa che si osserva su migliaia di giovani lavoratori di aziende in crisi e disoccupati della Provincia di Sondrio. «Il malessere in questi casi è profondo - spiega -. Ma non è solo una questione economica. Pochi giorni fa sono stato sottoposto a una visita di controllo e il medico ha rilevato dei peggioramenti. Colpa dello stress, anche la salute risente di questa situazione. Ogni sera si va a dormire con il pensiero di dovere affrontare di nuovo gli stessi problemi il giorno dopo. Se si lavora bene si vive meglio. Non mi sembra di chiedere tanto».


Assemblea dopo assemblea, una comunicazione dopo l'altra, a Pedeferri e colleghi sono arrivati timidi segnali di speranza che, inevitabilmente, sono stati smentiti dalla realtà dei fatti dopo pochi giorni o addirittura ore.


«Abbiamo ascoltato mille voci, tante promesse. Ma non si è risolto nulla. Passano dei giorni senza voglia di parlare con nessuno. C'è tanta solidarietà dalle persone che incontri, ma quando ti chiedono come va non so mai cosa rispondere. A volte mi sento un burattino in mano di qualcuno che ti fa credere e sperare, ma alla fine non cambia nulla. Amici e compaesani, quando ti incontrano, ti dicono che una ditta di acqua non può andare male. Come faccio a dire che si sbagliano? Questa fabbrica non è importante solo per noi. Ora siamo in 17, ma con una produzione ben gestita ci sarebbe spazio anche per altri. Non lo sappiamo, la gente comune anche. Lo deve capire, invece, chi si occupa del nostro futuro. Non si può abbandonare uno stabilimento come questo, l'acqua è una delle poche risorse del territorio, l'abbiamo detto anche al congresso della Cisl e in altre circostanze da tutti i sindacati".


Dopo un anno di crisi, la situazione economica dei lavoratori si fa sempre più difficile. «Ho un mutuo da pagare e se finirò in mobilità potrò contare sull'assicurazione. Per il momento tutto quello che percepisco con la cassa integrazione finisce lì. Dopo mesi trascorsi senza un euro di salario, non è facile tirare avanti. Per fortuna la mia famiglia mi aiuta, ma non vedo l'ora di svegliarmi da questo incubo».


Secondo Pedeferri le iniziative di mobilitazione dei dipendenti devono andare avanti. "Abbiamo il dovere di andare avanti, per fare capire che la nostra fabbrica può produrre dell'ottima acqua, ma anche lavoro e ricchezza. Se fosse per me, andrei a Milano dal governatore Maroni e Roma dal presidente Napolitano. Quando sono entrato in questa fabbrica ero il più giovane. Lo sono ancora adesso».

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