Un’Europa autorevole può aiutare l’Occidente

Ursula Von der Leyen ha annunciato la sua candidatura ad un secondo mandato come presidente della Commissione. Per le prossime elezioni europee di giugno il Partito popolare europeo è nei sondaggi avanti.

La notizia fa il paio con il discorso di Mario Draghi alla sessione annuale della National Association for Business Economics di Washington. Il suo nome circola come possibile presidente del Consiglio Europeo. L’accoppiata Draghi-Von der Leyen significherebbe un salto qualitativo nel processo di unificazione europea. L’analisi tracciata davanti agli uomini di affari americani suona come un manifesto.

Alla base delle nostre difficoltà vi è una globalizzazione che non ha allargato lo spazio delle democrazie liberali. Si guardi solo al continente asiatico dove imperano le autocrazie e i regimi democratici sono presenti a pieno titolo solo in Giappone, Sud Corea e Taiwan e con l’India a metà strada. Viceversa in molti Paesi occidentali, Stati Uniti in primo luogo, ha preso piede la disaffezione.I vantaggi di un consumo di merci a basso costo alla lunga non ha compensato la perdita di posti di lavoro, il fallimento di aziende e il declassamento sociale del ceto medio.

Chi ha più subito è stata l’Europa che si è vista lentamente trascinare dalla centralità di una posizione di forza economica alla marginalità politica. Lo si è visto nei giorni scorsi alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera dove l’unico ruolo di rilievo dell’Europa sta nell’ospitare la manifestazione. Chi è giunto qui si pone solo tre domande: cosa farà Putin, chi sarà il prossimo presidente americano e come si muoverà la volpe cinese. L’Europa non ha peso contrattuale. La morte annunciata di Alexei Navalny può rendere più immediato il pericolo russo e forse far percepire la necessità di un cambio di passo.Solo uniti i 27 Stati membri possono sperare di influenzare le condotte dei loro contraenti. Mario Draghi sul tema è positivo, ritiene che prima o poi si arrivi a definire una politica fiscale condivisa sì da poter far debito comune. Questo «amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali».

Parole che dovrebbero convincere l’opinione pubblica tedesca anche se l’ex presidente della Bce sa quanto difficile sia indurre la Germania a farsi garante senza condizioni di parte del debito italiano. L’alternativa che Paesi come l’Italia accettino la supremazia franco-tedesca nell’Unione e siano disposti nei fatti a cedere parte della loro sovranità fiscale è l’altra faccia della medaglia.

Una situazione di stallo che solo un evento traumatico può sbloccare. È l’emergenza che domina chi non è in grado di darsi delle regole. E non a caso si guarda a Draghi come alla fonte di ispirazione. La Commissione europea gli affida l’incarico di redigere un rapporto sulla competitività e gli americani ascoltano i suoi consigli come nell’antichità si poneva orecchio all’oracolo. Un segno dei tempi nella nazione guida dell’Occidente retta da un ottantenne, con uno sfidante alle prossime elezioni di 77 anni e l’ascoltato amico italiano di pari età.

Se la decadenza o quantomeno la crisi ha un simbolo questo è il più evidente. I giovani non si buttano, hanno perso fiducia in se stessi e si fanno guidare anch’essi dagli anziani. Una presenza autorevole dell’Europa è tuttavia decisiva per tutto l’Occidente. Porrebbe le basi per una pace in Ucraina a condizioni eque. In fin dei conti, distogliere la Russia dall’alleanza con la Cina vorrebbe dire indebolire il fronte avverso delle autocrazie. I popoli europei, pur con tutte le divisioni, una cosa hanno imparato in questi ultimi ottant’anni di benessere condiviso: è la democrazia il valore da difendere.

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