Per il Lecco piove sempre sul bagnato

Lecco, nell’ultimo decennio, è stata la città più piovosa d’Italia. Lo rilevano strumenti scientifici e non opinabili, a differenza dei sondaggi sulla qualità della vita e su altri indici relativi ai servizi che pure, nelle recenti classifiche del ‘Sole 24 ore’, ci relegano agli ultimi posti. Come dire “piove sul bagnato” e la marcia del Calcio Lecco in serie B va assumendo i contorni di una ingloriosa ritirata. L’orribile principiare del 2024 porta le stigmate di una quaresima sportiva senza fine e sarà la decima volta che si invoca l’ultima spiaggia, più per recitare un copione che per la convinzione di sovvertire il pronostico.

Anche sul lago abbondano i marinai. Ebbene a Pasquetta il Lecco ospiterà il Cittadella (un borgo di ventimila abitanti) che pur avendo meno risorse di noi, ogni anno rinnova il miracolo della permanenza nella serie cadetta e che promette di restarci anche in questa stagione, nonostante un filotto di sconfitte che ci fa sentire stretti parenti.

Oltre mezzo secolo fa ho assistito a una meravigliosa sfida nel dì di Pasqua tra il Lecco e il Brescia allo stadio Rigamonti (il presidentissimo Mario Ceppi era ancora il munifico patron). Un cielo terso di un azzurro che si intonava con le scintillanti maglie degli ospiti, attraversate dalla V bianca delle rondinelle e si dissolveva sulle casacche blucelesti dei padroni di casa, in un gioco di luci e di colori poco promettente. Alle corte: il Brescia travolse il Lecco 4 a 0 con una prestazione magistrale. Per ricordare le magie dei cinque attaccanti avversari, Sacchella, Bersellini (il mister campione con l’Inter), De Paoli, Favini, Vigni, non ho avuto bisogno di consultare Wikipedia (non ne sono capace), grazie a una memoria fuori categoria, ma soprattutto lo spartiacque perché la prova d’orchestra e i gol mi rimandarono al Brasile del 1958, quello dell’esplosione in Svezia del non ancora diciottenne Pelé. Il lunedì dell’Angelo farò la buona azione di seguire la partita dalla tribuna non contando sulla resurrezione della squadra (una doppia blasfemia evangelica e calcistica), ma su una prova d’orgoglio della ciurma di giocatori che neppure si conoscono tra loro e sono per me estranei come l’elenco telefonico. E il rilievo non è solo nominalistico perché racchiude la ragione forse cruciale del fallimento, da ascrivere a un rafforzamento della rosa più simile all’armata Brancaleone che frutto di scelte oculate.

Staremo a vedere, consapevoli comunque che dopo la promozione miracolosa, proprio perché miracolosa, l’immediata retrocessione non ci costringe al cilicio e alla gogna. Quel che ora preme di più è il destino della società, già finita nel baratro a inizio secolo e salvata dal sindaco Lorenzo Bodega in una operazione che permise anche alla Fiorentina di evitare l’estinzione.

Noi siamo tra coloro che hanno caldeggiato la civica benemerenza a Paolo Di Nunno, indiscusso condottiero dell’impresa sportiva. Ci sentiamo perciò liberi di manifestare la nostra delusione per le recenti messe in scena officiate da don Paolo, dettate dall’ira che nulla ha da spartire con la focosità del personaggio. Con gli insulti ai tifosi urlati al microfono si è giocato in un amen la riconoscenza di un popolo che pure gli aveva tributato gli onori del trionfo. E poi quel tiramolla sulla vendita minacciata a giorni alterni non è parsa all’altezza di un capitano di ventura abituato alle tempeste. Nessuno discute la sua generosità, ma il calcio è sempre stato ricco di mecenati, i Moratti, gli Agnelli, i Berlusconi, i Viola, i Ferlaino, i Mantovani che hanno sempre considerato la loro amata società un patrimonio dei tifosi e non un affare personale. Lungi da noi l’idea di intentare un processo di piazza, ma di sicuro lo stillicidio di dichiarazioni spesso contraddittorie ha allontanato potenziali investitori e figure vicine alla bandiera bluceleste che si sono industriate per trovare soluzioni concrete e rassicuranti.

Ora si sproloquia di cinesi, domani toccherà agli arabi, ma sono sicuro che i lecchesi preferiscono obiettivi ridimensionati e concreti invece di scorribande velleitarie ed esterofile che già in passato sono durate lo spazio di un mattino dopo aver persino vagheggiato la quotazione della società a Wall Street.

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