Molestie e bischerate
sulle donne concupite

In un’intervista di parecchi anni fa, Indro Montanelli commentò un fenomeno di costume che da una sperduta contea degli Stati Uniti era sbarcato sui giornali di mezzo mondo: il successo di un’associazione - laica - di giovani donne che come primo punto del suo statuto aveva l’impegno ad arrivare vergini al matrimonio, con tanto di visite mediche periodiche e conseguente certificato d’idoneità.

Secondo Montanelli era ovviamente una bischerata, perché - chiosando con perfidia tutta fiorentina - la verginità non è di per sé un attestato di morigeratezza sessuale, che tali e tante se ne possono combinare dentro a un letto... Ma la cosa che lo preoccupava era un’altra. E cioè che quel riflusso di puritanesimo deteriore fosse l’inevitabile contrappasso alla licenza sessuale che aveva impregnato gli anni Settanta, quelli della contestazione giovanile, perché gli eccessi di un certo tipo portano sempre a eccessi di segno uguale e opposto. Analisi perfetta. Sana ed elementare cultura liberale che, per natura, diffida degli approcci ideologici e moralistici. E che trova conferma, passati tanti anni e rivoluzionata la società, nel formidabile manifesto firmato da cento donne francesi, e del quale la mitologica Catherine Deneuve è diventata il simbolo, a proposito del caso Weinstein e della conseguente campagna mediatica #metoo contro le molestie sessuali.

Ora, la tesi della Deneuve, che può essere brutalmente sintetizzata con la libertà degli uomini di importunare le donne, è oggettivamente strepitosa e rappresenta una boccata di ossigeno all’interno di un dibattito culturale che sta toccando livelli grotteschi di conformismo e distacco dalla realtà.

È evidente che lo stupro sia un crimine. Un crimine tra i più abbietti che va condannato con la massima severità. Ed è del tutto evidente che anche il ricatto o l’intimidazione sessuale - avrai questa cosa se me ne darai un’altra, manterrai il posto di lavoro se ti presterai a questo o quello - sono innanzitutto dei reati e poi pure delle cose che fanno schifo, che fanno ribrezzo, che fanno vomitare. E non c’è altro da dire.

Altra cosa, però, è l’ondata maccartista che ha travolto il mondo dello star system che, grazie alle attiviste del #metoo, ha scatenato sui media e sui social una campagna di delazioni, di insinuazioni, di denunce contro soggetti maschili ai quali non è mai stata data la possibilità di difendersi e nella quale, nella stragrande maggioranza dei casi, manca totalmente l’onere della prova. E qui siamo alla barbarie.

Basta un’accusa di molestia sessuale, del tutto generica, magari vecchia di anni, senza alcuna prova - una mail, un messaggio, un video, un’intercettazione, un testimone - e il nuovo tribunale dell’inquisizione ormonale fa scattare subito la ghigliottina. Sono già saltate carriere e famiglie per un vago sospetto. E nessuno dice niente.

E poi. Che cos’è una molestia? Come si identifica? Qual è il caso di specie? Dove il confine? Fino a che punto una frase sdolcinata è corteggiamento e da che punto diventa atto di violenza? Chi stabilisce il confine? Il tribunale del politicamente corretto? I sacerdoti della doppia morale delle terrazze che piacciono alle gente che piace? L’ordine dei tromboni planetari? I carabinieri di Pinocchio? E poi che si fa? Si censurano tutti gli autori e tutte le opere d’arte fuorilegge? Bruciamo quadri? Vietiamo film? Mandiamo al macero tonnellate di grande letteratura? Basta leggere la risposta di Asia Argento alla Deneuve - tra l’altro, indovinate un po’ chi parla e scrive meglio l’italiano tra le due? - per porci la domanda decisiva: cosa fumano le sacerdotesse della caccia al maschio fallocratico e stupratore, visto che ogni maschio, in quanto maschio, è potenzialmente un maschio fallocratico e stupratore?

Ma la cosa più grave non è neppure questa. La vera ferita culturale, alla faccia di decenni di femminismo d’accatto e di roboanti discorsi sulla parità di genere, è l’inchiodatura delle donne al ruolo di eterne martiri, di piccole donne, appunto, vittime predestinate dei satanassi violentatori, le donne, come scrive giustamente l’attrice francese, come esseri a parte, bambine con il viso - e gli organi sessuali - d’adulto, che chiedono di essere protette. E, quindi, urge regolamento ministeriale che indichi i codici di comportamento per un invito a cena, una battuta sull’ascensore, un commento sul taglio di capelli o sugli stilosi coturni con tanto di documento firmato e ceralaccato in caso di consenso alle avances del bruto.

E infine, la cosa più insopportabile. Va bene tutto, va bene che siamo uomini di mondo e che l’esistenza è fatta di tante zone grigie e bla bla bla, ma che ogni santo giorno ci si debba sorbire la morale sui diritti conculcati alle umiliate e offese da una sfilata di squinzie, di bonone, di strapazzone che hanno costruito mirabolanti carriere artistiche (?), professionali, giornalistiche, politiche e tutto il resto che volete esercitandosi nel salto triplo da un letto all’altro del potente di turno, è una cosa davvero intollerabile.

Anche perché rappresenta il vero sfregio a tutte quelle donne - e sono tante - che gli stupri, le violenze e le minacce sessuali le hanno subite per davvero. È per questo che la sceneggiata, tutta hollywoodiana, ai Golden Globe, con la sfilata di decinaia e decinaia di attrici in nero, che naturalmente non hanno mai ottenuto alcun vantaggio dalla frequentazione dei sordidi ambienti degli studios, figurarsi, fa tenere la pancia dalle risate.

Chi conosce la natura umana sa perfettamente che chiunque detenga un potere corre due rischi: di approfittarne oppure di non respingere le pletore di uomini pronti a leccargli le scarpe e di donne pronte a saltargli dentro il letto. Non tutti, ma tanti. Non tutte, ma tante. E se è così, ed è così, l’unica ancora di salvezza è l’etica della responsabilità individuale. L’uomo è libero di importunare, la donna è libera di dire no. In fondo, è così facile essere uguali…

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@Diegominonzio

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