IL DUELLO MANCATO OCCASIONE PERSA?

Peccato che non si tenga il faccia a faccia tra Meloni e Schlein, programmato per il 23 maggio prossimo. Sede deputata “Porta a Porta”, ormai considerata per il ruolo quasi istituzionale assunto ”la Terza Camera” dello Stato. Era un appuntamento quanto mai atteso dalle opposte tifoserie, desiderose di veder finire al tappeto la leader del partito avversario. Non di meno, si può star certi che un duello del genere, che prometteva scintille, avrebbe riscosso un alto grado di audience. Non sono, però, gli aspetti della cosiddetta “Tv spettacolo” che motivano il nostro rammarico per l’annullamento del dibattito in questione.

La vera ragione è che poteva essere la buona occasione perché Schlein e Meloni fossero costrette a uscire dal vago della propaganda condotta a suon di slogan per definire finalmente nel concreto l’orientamento politico che intendono dare ai loro partiti. E questo, non solo in vista dell’8/9 giugno, ma più in generale per il futuro del paese.

Pd e Fd’I sono entrambi nel bel mezzo di un processo di cambiamento che investe la stessa ridefinizione della loro identità. Problema non da poco, anche perché non sono due partiti qualsiasi. Sono eredi delle tradizioni politiche impersonate dal Pci e dal MSI, partiti che per tutta la prima Repubblica sono stati i grandi esclusi dal salotto buono della politica nazionale. Di colpo, da vittime della conventio ad excludendum che li aveva relegati in panchina, sono diventati i principali giocatori della partita apertasi per la guida del paese.

La conseguenza è che sono stati chiamati entrambi a ridefinire la loro missione. Fratelli d’Italia, partito nato populista, proclama di volersi fare destra conservatrice. Il Pd, nutrito all’origine da un’ambizione maggioritaria, che doveva portarlo a raccogliere un consenso largo, sia a sinistra che al centro, ha svoltato bruscamente a sinistra, alla larga dal riformismo, accusato di aver dimenticato le radici storiche del partito di forza alternativa al sistema.

Per vincere la sfida alla conquista della premiership è decisivo l’accreditamento che solo l’adozione di alcune scelte politiche può garantire. Parliamo dell’europeismo, dell’atlantismo, della difesa dei conti dello Stato compromessi dall’abnorme debito pubblico, di una politica economica orientata alla crescita, di riforme miranti a migliorare la concorrenza, la competitività, la produttività del sistema.

Non sarà sfuggito al lettore che è proprio di questi temi che Meloni cerca di appropriarsi per accreditarsi, a Strasburgo come a Washington, nel ruolo di affidabile partner dell’Occidente. La Schlein purtroppo non sembra preoccuparsi di ciò e invece farebbe bene ad esserlo. Nella sua traversata verso la sinistra-sinistra sta infatti cedendo alla destra quel patrimonio di credibilità che aveva reso il Pd il partito per eccellenza garante della tenuta del sistema, anche a costo di perdere consensi elettorali.

Erano gli anni in cui alla guida del partito c’era la componente riformista (da Prodi a Renzi, da Letta a Gentiloni, passando per il Bersani prima maniera, quand’era promotore delle liberalizzazioni, e per il Bonaccini antagonista della Schlein nella competizione per la segreteria del partito).

Smantellare le conquiste del Pd che nutriva una vocazione maggioritaria (vedi Jobs Act), abbandonare le posizioni dialoganti su garantismo, sul rafforzamento dei poteri del premier, sulla gestione dell’emigrazione clandestina, sul contenimento della spesa pubblica, sulla difesa dell’integrità dell’Ucraina: tutto ciò gli può far recuperare voti a sinistra, sopravanzare l’infido concorrente Conte, divenendo il maggior partito dell’opposizione, ma anche relegarsi inesorabilmente all’opposizione, come fu il destino del Pci.

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