I calciatori? Diano tutto per questa maglia

Non sono certo pentito di aver sottoscritto un doppio abbonamento in tribuna per me e mia nipote Ginevra come minuscolo omaggio alla società e alla squadra per la promozione in B, dopo mezzo secolo di gironi infernali. L’avvio claudicante era il pegno del neofita, poi la galoppata delle tre P, Pisa, Palermo, Parma ha restituito antico entusiasmo e tifo contagioso. Il territorio cominciava a riconoscere che l’impresa non era soltanto sportiva. I più delusi dal tracollo del 2024, coinciso con una campagna acquisti degna di un mercatino dell’usato, sono stati la mia adorata Ginevra e il quasi novantenne, amico mio, Antonio Pasinato che svetta imponente in tribuna e che da ragazzo vidi regalare al Lecco una vittoria decisiva contro il Cagliari con una incornata impressa con la testa fasciata. Pura l’amarezza della piccola tifosa che, a differenza del nonno, non ha subito l’umiliazione delle due retrocessioni in B del Milan, sulle quali i miei amici, Diego, direttore di questa testata e Corrado, interisti a 24 carati, non hanno mai generosamente infierito.

Sconcertato invece il rammarico del vecchio giocatore e allenatore che solo per innato garbo, non si è lasciato andare in un bartaliano “è tutto da rifare”. Ma a rendere il cielo plumbeo ha provveduto il patron Paolo Di Nunno, cioè il centro di gravità permanente del pianeta bluceleste, mostrando una rassegnazione che fa a pugni con il suo carattere da pirata. La cronaca recita: l’apoteosi dell’estate 2023 scandita da prestazioni da solluchero, poi il rodaggio faticoso e la resurrezione che faceva sognare. Il 2024 è stato un disastro, un precipitare in caduta libera sino all’umiliazione del derby con il Como. Ebbene non può essere casuale che la bizzarra e sconclusionata campagna acquisti di riparazione sia coincisa con la grave malattia di Di Nunno: vigile dal letto della terapia intensiva, ma giustamente più preoccupato per il suo cuore che della passione per il calcio. Ne è scaturito un almanacco di nomi da fare invidia alle figurine Panini e anch’io che avevo cominciato a imparare la formazione tipo mi sono dovuto arrendere perché era come leggere l’elenco telefonico.

Si badi bene che Paolo Di Nunno non è certamente “rara avis” nell’ornitologia pallonora dei presidenti. Come non ricordare il record di allenatori esonerati da Zamparini al Palermo, da Cellino al Cagliari (ora al Brescia), da Rozzi all’Ascoli, da Anconetani a Pisa e più lontano dal grottesco Massimino a Catania e - più vicino a noi e di certo con più stile e soldi - da Massimo Moratti all’Inter. Ora la sequenza Foschi, Malgrati e Bonazzoli, Aglietti, Foschi per una notte, Aglietti richiamato alle armi, non è un bel biglietto da visita per quello che si presenta come l’ultimo scorcio di campionato.

L’incubo è il ritorno in C con Di Nunno in fuga. Una eventualità, quest’ultima, da scongiurare in ogni modo, ed ecco allora che converrebbe investire sulla lungimiranza e lucidità del patron perché avvii una saggia e dolce transizione verso potenziali imprenditori, ancora non spaventati dall’abisso. Ciononostante, ci sentiamo anche di rivolgere un appello ai giocatori perché spendano anche l’ultima goccia di sudore, ricordando che per loro la maglia bluceleste può essere anche una banderuola, mentre per i tifosi sarà sempre e comunque una bandiera. Giochino da campioni, non nel senso del fuoriclasse, ma onorando l’etimologia che ha uno e un solo significato: quello di battersi sul campo di battaglia.

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