Quota 100 non affonda la sanità locale
«Ma rimangono tanti vuoti da colmare»

Sondrio perde 24 figure ed è ultima in Italia per numero di richieste di pensionamento. Il sindacato: «I problemi di organico delle due Aziende sono strutturali e vanno affrontati».

Quota 100 non svuota la sanità, ma secondo il sindacato nel pubblico impiego i problemi negli organici non mancano. Sondrio è in fondo alla classifica delle province italiane per quanto riguarda le domande presentate per andare in pensione con questo provvedimento, visto che ci sono state soltanto 316 richieste. E mentre in altri territori, anche limitrofi, i lavoratori che hanno chiesto di abbandonare gli ospedali sono una percentuale rilevante, in Valtellina e Valchiavenna non si registrano fughe di massa.

Sono in totale diciassette, di cui due medici, le persone che nel 2019 che ha già presentato domanda di pensione su Quota 100 all’Asst. Una percentuale irrisoria sul totale di circa tremila dipendenti dell’Azienda degli ospedali. Sono sette, invece, i lavoratori dell’Ats della Montagna che intendono avvalersi di quest’opportunità. Secondo l’analisi delle organizzazioni sindacali, circa 4 su 5 dei 316 neo-pensionati - o destinati a esserlo molto presto - sono lavoratori del settore privato, sia a Sondrio, sia a livello lombardo. Ma questo non basta per affermare che non ci sono problemi di organico, come rileva dalla Funzione pubblica Cgil la segretaria Michela Turcatti: Quota 100 rappresenta un fattore che aggrava ulteriormente una situazione già complessa.

«C’è un problema di carenza di personale piuttosto strutturale nella sanità valtellinese», spiega. Anche negli enti locali e negli uffici statali si osservano problematiche simili. Quota 100 ha determinato la richiesta di pensionamento da parte di vari operatori – ad esempio sei negli uffici del municipio di Sondrio -, ma le carenze non sono un tema inedito. «Nelle autonomie locali, a cominciare dai Comuni, negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una riduzione di alcune centinaia di figure – aggiunge la sindacalista valtellinese -. Ci sono circa mille dipendenti, in media uno ogni 180 abitanti. È un dato inferiore alla media nazionale, proprio come avviene in altre province lombarde».

Questo si verifica anche se, secondo la Cgil, i bisogni della popolazione sono sempre maggiori. «Dal 2010 i Comuni non hanno più potuto assumere e c’è stato un ridimensionamento dei servizi, con tanto di esternalizzazione di alcuni settori estremamente delicati e conseguenze drammatiche, ad esempio nell’assistenza a fasce più fragili della popolazione», prosegue Michela Turcatti.

In più occasioni, in passato, si è discusso dell’utilità dell’eventuale aggregazione degli enti. «La frammentazione dei Comuni e le specificità del territorio rendono poco sensati i paragoni con altre situazioni relative a contesti urbani dove ci sono meno dipendenti in proporzione alla popolazione – conclude Michela Turcatti -. Alla politica ora tocca il coraggio di assumere scelte in grado di contribuire anche ad affrontare queste problematiche, salvaguardando i servizi e la loro qualità».

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