La Valle e i dazi Usa sull’agroalimentare: «Temiamo i riflessi»

Le latterie Sociale Valtellina e di Chiuro: «Quando si vanno a toccare dei leader come il Padano o il Parmigiano poi è tutto il mercato a risentirne»

Dazi Usa sull’agroalimentare italiano, preoccupazioni anche in Valtellina per le possibili ripercussioni nei mercati nazionali, con il timore di un crollo delle vendite da parte delle grandi Dop lattiero casearie, crollo che potrebbe arrivare ad influenzare equilibri e quotazioni nel comparto e della filiera. In provincia di Sondrio si commenta insieme ai maggiori produttori la crisi che coinvolge aziende e i grandi consumatori del mercato Usa.
«Non credevo fosse possibile che si arrivasse davvero, su una linea di penalizzazioni nei rapporti commerciali, a colpire i simboli del Made in Italy alimentare – osserva Marco Deghi, direttore della Latteria Sociale Valtellina – ho sperato che gli scenari peggiori non si realizzassero, pensavo, non è possibile, invece tutto sta diventando concreto».
Gli Stati Uniti puntano ad imporre dazi, aumentando le tasse sull’export per 7,5 miliardi di dollari all’anno, 6,8 miliardi di euro relativamente a merci provenienti dall’Unione Europea. I dazi che dovrebbero partire dal prossimo 18 ottobre, sono indirizzati sia a prodotti tecnologici, sia prodotti dell’agro-alimentare in Regno Unito, Francia, Germania e Spagna e Italia. Nell’elenco i dazi che riguardano l’Italia in un quadro che appare ancora in via di definizione, sono limitati a una serie di prodotti caseari come il Parmigiano, il Padano, la mozzarella, non i vini, non l’olio, non i principali salumi a marchio.
I dazi sui prodotti sarebbero del 25 per cento, il Parmigiano Reggiano si vende oggi in Usa al prezzo medio di 40 dollari al chilo, per effetto dei dazi il prezzo potrebbe salire fino a 60 euro al chilo. «Confesso – ha affermato Deghi – di non conoscere ancora del tutto la lista definitiva dei prodotti interessati, si cerca tra l’altro di capire se ci siano ancora a livello istituzionale margini di trattativa. Di certo, parlando del lattiero caseario – ha proseguito – quando si vanno a toccare dei leader come il Parmigiano o il Padano, poi tutto il mercato ne risente. Non si tratta di un prodotto minore e pur importante, ad esempio il taleggio, che avrebbe un impatto economico più ridotto».
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato estero, dopo la Francia, per l’export di Parmigiano Reggiano, attualmente sono esportati in Usa 10 milioni di kg l’anno. «Incominciano ad essere dei volumi veramente importanti – ha proseguito Deghi – è chiaro che, se, per effetto degli aumenti, si subissero scossoni, se ci fosse una caduta delle esportazioni i nostri colleghi si rivolgerebbero di più sul mercato interno con un effetto negativo sui mercati italiani». Le principali realtà valtellinesi del settore e quindi i produttori, Latteria Sociale Valtellina, Latteria di Chiuro, non hanno al momento un volume di export diretto agli Stati Uniti, che possa risentire direttamente di una stretta come quella che si sta attuando.
«Rischia di venire penalizzato tutto l’agroalimentare italiano, con i suoi primi marchi simbolo il Reggiano, il Padano – ha affermato Franco Marantelli, presidente della Latteria di Chiuro – in termini di esportazione diretta noi, attualmente, sondiamo il terreno ma non con numeri esorbitanti, l’apposizione dei dazi non ci cambia più di tanto. Di certo – ha proseguito – si frena l’export del Made in Italy e a fronte di questo, non resta che sperare che ci possano essere ancora margini di trattativa a livello istituzionale. Che le associazioni coinvolte possano spingere per una soluzione, per l’Italia, per il lavoro che esprimiamo come nazione sull’agroalimentare».

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