
Tre mesi di riposo, quasi cento giorni di ozio... forse ognuno di noi ripensando alla propria infanzia o adolescenza non può fare a meno di provare nostalgia per le lunghe estati che abbiamo vissuto. Dalla fine dell’anno scolastico all’inizio del successivo era distesa una lunga stagione luminosa da inventare ogni giorno. Il romanziere Ray Bradbury l’ha descritta nello splendido romanzo “L’estate incantata”, un libro che ogni adulto dovrebbe leggere. Il senso di leggerezza tipico del primo giorno di vacanza è uno dei ricordi più intensi della nostra infanzia, insieme comunque a quel misto tra desiderio di rivedere i compagni e nostalgia dell’estate che segnava l’ultimo giorno prima del rientro.
Sì, ma…e i compiti? E lo studio? E se poi il cervello si arrugginisce? E se poi i ragazzi dimenticano tutto quello che hanno studiato? Cosa fare dunque con i nostri ragazzi nella pausa estiva?
Vittime dell’illusione
Certo, questo articolo viene pubblicato quando ormai i compiti delle vacanze sono stati assegnati e i recuperi che portano l’orribile nome di “debiti” sono stati assegnati. E dunque i genitori si ritrovano a fare i conti con le indicazioni della scuola, che vanno seguite per rispetto del patto formativo tra adulti che ne è alla base. Ma speriamo che le nostre parole servano per l’estate 2024, in modo che gli impegni scolastici per l’estate siano concordati con i genitori e soprattutto con i ragazzi stessi.
Perché purtroppo siamo tutti vittime dell’illusione secondo la quale se una persona non viene sottoposta a verifica e valutazione, significa che non impara. Come se un cuoco dovesse per forza passare da Masterchef per imparare a cucinare e non potesse farlo semplicemente…cucinando, e basta.
Anzitutto iniziamo a dire che il cervello non va mai in pausa. Impariamo anche quando dormiamo come dimostrano i sogni, dunque la straordinaria plasticità della nostra psiche ci permette di continuare l’apprendimento anche quando le scuole sono chiuse. E il fatto che non ci siano test, prove, verifiche a controllarlo, misurarlo e valutarlo non significa che l’apprendimento non si stia svolgendo, come se si pensasse che il vento non sta soffiando perché nessuno ne sta misurando l’intensità.
Apprendimento intimo
I bambini e i ragazzi d’estate imparano dalle gite, dai giochi, delle prime storie d’amore nate sotto l’ombrellone, dal rispetto del coprifuoco serale, dagli animali che incontrano nei boschi o dalla magia delle cime innevate. Imparano dalla vita e nella vita, e si tratta di un apprendimento intimo, personale, quasi segreto. Non è la stessa cosa dell’apprendimento scolastico, perché le scuole d’estate sono chiuse, e devono imparare a lasciare il posto ad altri modi di crescere e di conoscere.
Parliamoci chiaro: nove mesi di scuola sono tanti. Duecento giorni in una classe a imparare, se ovviamente sono stati realmente impiegati nell’avventura di conoscere e di crescere, sono davvero il limite massimo al quale la mente e il corpo di una persona possono essere sottoposti. Quale bisogno c’è di un continuo ricorso ai tempi supplementari per caricare di compiti i bambini e i ragazzi? Può essere che d’estate essi dimentichino qualcosa. Ma sono stati scritti fior di trattati sulla selettività della memoria, sull’importanza del dimenticare, sul fatto che ciò che ricordiamo ci aiuta a selezionare le informazioni davvero importanti: ha più senso che un bambino passi ore ed ore sotto l’ombrellone a fare i compiti per non dimenticare il teorema di Pitagora oppure dedicare i primi giorni di scuola a ricostruire i ricordi scolastici dei ragazzi, cercando di creare una memoria collettiva? E se d’estate un ragazzo dimentica i sette re di Roma ma ricorda perfettamente la formazione dell’Inter questo non dovrebbe farci porre qualche domanda sul nesso tra ciò che ricordiamo e ciò che davvero amiamo?
Dunque facciamoli questi compiti delle vacanze, ma non drammatizziamoli, non mettiamoli come condizione per poter fare il bagno al mare, non usiamoli come strumento di ricatto. E soprattutto consigliamo ai genitori dei bambini che hanno concluso la quinta elementare e dei ragazzi che devono iniziare la scuola secondaria di II grado di evitare assolutamente di far svolgere compiti.
Quelle sono estati apparentemente vuote ma in realtà pienissime: sono riempite dalle paure, dalle speranze, dalle emozioni relative alla nuova scuola e ai ricordi, ai rimpianti, alle malinconie per quella che si è da poco abbandonata. La psiche umana non è un pozzo senza fondo: d’estate i ragazzi sono impegnati a elaborare le esperienze dell’anno scolastico (due ragazzini sulla spiaggia prima o poi parleranno sicuramente delle relative scuole), non possiamo ostacolare questa fondamentale operazione caricandoli ancora di surrogati della scuola.
Ma, se poi i ragazzi si annoiano? Viene da dire. Speriamo! Perché saper accettare la noia come componente essenziale della vita umana è una capacità che sta scomparendo, così come saper approfittare del sano ozio (non l’ozio che serve poi per tornare al lavoro, ma proprio l’ozio come esperienza esistenziale).
L’estate è gioia ma anche noia, perché come tutte le esperienze umane è contraddittoria e paradossale. E se poi ci accorgessimo che, dopo un’estate senza compiti, note disciplinari e registri elettronici i bambini e i ragazzi avessero davvero voglia di rientrare a scuola? Non sarebbe l’ulteriore indicazione per capire finalmente che apprendimento e desiderio viaggiano sempre mano nella mano?
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